La posta di Schrödinger S1.E5
Lineare, esponenziale e cosa succederebbe se Gerry Scotti conducesse un nuovo gioco a premi.
C’è un aspetto della meccanica quantistica che non viene spesso citato, ma che secondo me è fondamentale per capire tante cose della ricerca in informazione quantistica.
La meccanica quantistica è difficile.
Sì certo, mi direte voi, ce lo dicono tutti.
È difficile da capire e da visualizzare. Perché piena di fenomeni controintuitivi. Che possiamo maneggiare davvero solo a colpi di calcoli matematici, e molto meno a colpi di immaginazione.
E una volta che si tocca il tema matematica, sfido chiunque a non dire che comprenderla e utilizzarla richiede un certo sforzo.
Ma non è di quel grado di difficoltà che voglio parlarvi oggi.
Oggi vorrei spiegarvi perché la meccanica quantistica è complessa dal punto di vista computazionale.
Ovvero che, anche se sappiamo scrivere equazioni e calcoli per studiare il comportamento delle particelle, gestire queste equazioni diventa facilmente infattibile.
Non tanto perché siano difficili da risolvere - anche quello, per carità - ma per un motivo ancora più fondamentale. Perché per descrivere il comportamento delle particelle abbiamo bisogno di tenere conto di troppi parametri.
E non sono solo troppi per noi poveri umani dalla memoria corta.
Ma anche per qualunque computer a cui le vogliamo dare in pasto.
E non solo per i computer a transistor di oggi.
Anche per quelli di domani e del futuro, vicino o lontano che sia.
Ma arriviamoci per gradi.
La linearità della fisica classica
Devo per forza partire dalla cara vecchia fisica classica, ovvero le leggi di Newton.
In fisica classica, descrivere il comportamento degli oggetti corrisponde a poter descrivere come questi si muovo nello spazio. E per farlo si utilizza la seconda legge di Newton: la famosa
F = m a
Ovvero forza uguale a massa per accelerazione.
Oppure, parafrasando Newton secondo un suo traduttore romano dell’epoca:
« Diteme che forze ce stanno in gioco e ve dirò ‘ndo vanno le cose »
In pratica, se sappiamo con che tipo di forze interagiscono gli oggetti fra di loro - e se sappiamo anche la loro massa - abbiamo a disposizione direttamente l’informazione sulla loro accelerazione. E l’accelerazione non rappresenta altro che come cambia la velocità di questi oggetti nel tempo.
Sempre il caro Newton mostrò, grazie ad una branca della matematica chiamata analisi, che l’accelerazione è praticamente l’unica quantità responsabile di come si muovono gli oggetti nello spazio.
Se conosco come accelerano degli oggetti nel tempo, è sufficiente sapere 1) dove si trovano in un certo momento e 2) che velocità hanno in quello stesso momento, per poter predire dove si troveranno e che velocità avranno in qualunque momento futuro.
Questo è - a grandi linee - quello che fa la fisica classica. Descrive gli oggetti in termini di che posizione e velocità hanno, e si chiede come prevedere che posizione e velocità avranno in futuro. E per farlo, deve caratterizzare le forze che ci sono in gioco. Ovvero come interagiscono gli oggetti fra di loro.
Un paio di newsletter fa vi ho elencato due forze che l’hanno fatta da padrone nella fisica classica: la gravità e la forza elettromagnetica.
Stavolta vorrei affrontare un aspetto complementare della seconda legge di Newton.
Perché sì, da un lato questa legge ci dice che le forze in gioco sono tutto quello che ci serve per prevedere come si comporteranno gli oggetti che vediamo in giro. Ma dall’altro ci dice anche che il comportamento degli oggetti intorno a noi è essenzialmente rappresentato da due informazioni: la loro posizione e la loro velocità.
Poter prevedere come si muoveranno gli oggetti vuol dire, in fisica classica, poter dire, in ogni dato momento, dove si troveranno e che velocità avranno.
Faccio un esempio pratico: il movimento della Terra attorno al Sole.
In quel caso, la forza in gioco è essenzialmente la gravità, che fa sì che la Terra e il Sole si attraggano fra di loro. Supponiamo allora di voler sapere dove si trovi la Terra fra un mese. Visto che sappiamo qual è la forza in gioco, e che conosciamo la massa della Terra, sappiamo anche che accelerazione subisce la Terra. Dobbiamo quindi aggiungere gli altri due ingredienti: 1) in che posizione si trova oggi la Terra e, 2) a che velocità si sta muovendo e in che direzione. Date queste due informazioni siamo in grado di calcolare la posizione e la velocità che avrà la Terra fra un mese. E se vogliamo, anche fra due mesi. E fra tre. E fra quattro. E fra - vabbè avete capito.
Immaginatevi ora di partecipare ad un gioco a premi molto particolare. Un volta al giorno, alle 8 di sera, vi telefona il conduttore del gioco e vi fa una sola domanda: «Che sta facendo la terra adesso?». Per rispondere correttamente, dovete semplicemente dire la posizione e la velocità della terra quel dato giorno a quell’ora. Poi tornate a fare quello che state facendo e non ci pensate più fino alla sera successiva, alle otto. L’unica limitazione che avete è che, per ricordarvi la risposta, dovete segnarvela su un foglio. A mano.
Sembra troppo complicato? In realtà non lo è poi così tanto. Basterebbe perdere cinque minuti al giorno per segnarsi la lista di informazioni richieste, ovvero posizione e velocità. Ad esempio, ogni mattina potreste telefonare all@ vostr@ amic@ fisic@ preferit@ ( chi non ne ha almeno un@? ) e chiedere di farvi dire dove si troverà la terra, quella stessa sera alle 8, e che velocità avrà. Quest@ car@ amici@ vi chiederebbe semplicemente di leggere ad alta voce le informazioni del foglietto del giorno prima e vi detterebbe quelle nuove. E voi sareste pront@ per rispondere correttamente quella sera, semplicemente leggendo dalla nuova lista che avete fatto.
Non vi piace scrivere a mano? Niente paura, non c’è così tanto da scrivere. Considerate che ogni giorno sarebbero solo sei numeri.
Perché proprio sei? Perché ne servono tre per specificare la posizione della terra e tre per specificare la velocità. Questo per via del fatto che lo spazio attorno a noi ha tre dimensioni. Altezza, larghezza e profondità, se chiedete ad un mobile Ikea. O x,y,z, se chiedete alla matematica.
E quindi ecco che su questa lista vi basterebbe scrivere sei righe. Le prime tre per la posizione e le seconde tre per la velocità.
Ora complichiamo un pochino le cose. Immaginiamo che lo stesso gioco a premi vi offra di contrattare: per ogni pianeta in più per cui vi sentite di rispondere, vincete %$%$£ euro in più (mettete voi il numero che vi piace di più). Fino a quanti pianeti vi spingereste? Cinque? Dieci? Cento? Mille?
Se siete almeno un pochino pigr@ a scrivere come me, vi consiglio di farvi questa domanda: quante righe al giorno dovrei scrivere su questo foglietto?
La fisica classica ci dà una risposta molto chiara: sei righe per ogni pianeta. Sempre posizione (in tre direzioni), velocità (in tre direzioni), per ognuno dei pianeti.
Quindi quante righe se vi offriste di rispondere sia per la Terra che per la Luna?
12
Quante righe se aggiungeste pure Marte?
18
E pure Venere?
24
Ci vogliamo mettere pure Saturno?
30
Non so voi, ma io a cento uno sforzetto ad arrivarci ce lo farei. Magari a scrivere piccolo piccolo, 600 righe su un foglio ce le faccio entrare. E magari non mi ci vorrebbe tanto più di mezz’ora al giorno.
Tutta questa storia per dire che, dal punto di vista della fisica classica, descrivere il comportamento di tanti oggetti non richiede un grande sforzo di memoria.
Come vi ho appena detto, si tratta di sei numeri per oggetto. La posizione e la velocità in tre direzioni.
In gergo matematico, diciamo che il numero di parametri necessari a descrivere il movimento degli oggetti cresce linearmente con il numero di oggetti.
In pratica, ogni volta che aggiungiamo un oggetto (un pianeta, nell’esempio di prima), dobbiamo semplicemente aggiungere sei numeri in più alla lista.
Le crescite lineari sono comode, perchè sono facili da gestire.
Pensate al caso del gioco a premi. Se un giorno vi svegliaste e voleste raddoppiare la vostra vincita - quindi raddoppiare il numero di pianeti per cui rispondere - vi basterebbe raddoppiare il numero di parametri da considerare.
Ad esempio, da 600 a 1200, per passare da cento a duecento pianeti.
Sembra tanto, ma è un tanto gestibile. Se prima vi serviva un foglio intero, ora ve ne servono due. Ancora fattibile, no?
L’esponenzialità della fisica quantistica
È il momento di passare al caso delle particelle e della meccanica quantistica.
Come potrete immaginare, qui le cose si complicano assai.
Pensate se un giorno il gioco a premi di prima decidesse di cambiare regole. Da quel momento in poi, non si parla più di pianeti ma di particelle. Un po’ come se di colpo vi ritrovaste Gerri Scotti a condurre un nuovo programma chiamato “Chi vuole essere quantizzato?”. Potete scegliere un numero di particelle e, ogni sera alle 8, rispondere alla domanda: «Dove si trovano e che velocità hanno queste particelle?». Le regole sulla vincita sarebbero le stesse di prima: %$%$£ euro per ogni particella in più.
A quante particelle vi spingereste stavolta?
Cento? Duecento?
…
Volete un aiuto?
Un consiglio da amico magari?
Io oltre le 10, fossi in voi, non andrei.
Ma, a pensarci bene, io lascerei proprio perdere. Magari sforzatevi di convincere il gioco a tornare alle regole di prima.
Perché tutta questa differenza?
Tutto sta nel fatto che i parametri per descrivere le particelle in meccanica quantistica non crescono linearmente con il numero di particelle. Va molto peggio di così: crescono esponenzialmente.
Non è facile descrivere intuitivamente una crescita esponenziale. Ma considerate che è una cosa molto molto molto rapida.
A livello tecnico, il cambio può sembrare semplice: ogni volta che aggiungiamo un oggetto (una particella, nell’esempio di prima), ora non possiamo aggiungere dei numeri in più alla lista, ma dobbiamo moltiplicare il numero di parametri precedenti per il numero di parametri della nuova particella.
Proviamo a vedere perchè questa cosa non ci piace per niente usando un esempio immaginario.
Supponiamo che i parametri per descrivere un elettrone siano sempre 6, come per la fisica classica. La regola dell’esponenziale ci dice che, per descrivere due elettroni, dobbiamo moltiplicare il numero di parametri del primo (6), per il numero di parametri del secondo (6).
Ecco quindi che per due elettroni abbiamo
6x6 = 36
parametri. Manco troppo, no? Passiamo a tre elettroni, ora sono
36x6 = 216
parametri. Forse l’idea che qualcosa non va vi sta già balenando in testa. Proviamo a fare il paragone con i pianeti: con 216 numeri nella lista, potevamo descrivere il movimento di ben 36 pianeti. Ora ci sono bastate tre particelle per arrivare allo stesso numero di parametri.
Visto che sono masochista, proviamo ad andare avanti. Quattro elettroni diventano
216x6 = 1296
parametri. Porca miseria! Ora ci vogliono già due fogli per scrivere questi numeri, altro che i duecento pianeti di prima.
L’effetto piú evidente ce l’abbiamo nel vedere cosa succede se vogliamo raddoppiare il numero di elettroni. Proviamo a passare da quattro a otto. Vuol dire che dobbiamo moltiplicare i parametri dei quattro di prima per il numero di parametri dei quattro che vogliamo aggiungere. Quindi
1296x1296 = 1679616
parametri.
Più di un milione di parametri.
Un milione.
Quanti fogli ci vogliono per scrivere un milione di parametri?
Basta un quaderno intero? Forse meglio due.
E tutto questo, per otto miseri elettroni. Passando a sedici probabilmente finireste così:
Ve l’ho detto, le regole quantistiche non sono convenienti.
Ora che vi ho convinto che questo nuovo gioco a premi non vale tanto la pena, fatemi spiegare un poco meglio il perché di questo cambio così grande. È colpa - indovinate un po’ - del principio di sovrapposizione.
Secondo il principio di sovrapposizione della meccanica quantistica, se una particella può trovarsi in una serie di posizioni diverse, può trovarsi anche in una sovrapposizione di queste posizioni. In pratica, un comportamento possibile è che la particella, anziché trovarsi in un punto specifico, può trovarsi con una certa probabilità in una serie di punti diversi. Metà delle volte qui, un terzo delle altre volte lì, e così via.
(Vi ho confuso? Vi consiglio di recuperare la newsletter sul principio di sovrapposizione. Sul serio, prendetevi un attimo di riflessione per metabolizzare quel concetto, perché da qui in poi le cose si fanno più complicate).
Ne viene fuori un bel macello, perché per descrivere il comportamento di una singola particella ora non possiamo semplicemente dire che posizione e velocità ha. Semplicemente perché potrebbe trovarsi in più posti diversi, in un ognuno di questi con una certa probabilità. Lo stesso dicasi per le diverse velocità.
Che parametri servono allora per descrivere il comportamento di una particella? Essenzialmente, le probabilità. Ovvero, numeri che ci dicano che probabilità ha una particella di trovarsi in una certa posizione, e di avere una certa velocità. E quanti sono questi numeri? Tante quante sono le posizioni e velocità possibili.
Nel suo essere una teoria probabilistica, la meccanica quantistica non può basarsi su una sola posizione e velocità. Ma deve tenere in conto di tutte le possibilità. E assegnare una probabilità ad ognuna di esse.
È proprio questo dover tenere in conto tutte le possibilità che genera un comportamento esponenziale come quello che vi dicevo prima.
Per provare a capire perché, fatemi prendere un esempio semplificato. Supponiamo che, anziché provare a descrivere l’intero comportamento di una particella, ci interessasse sapere solo come sta girando su sé stessa. Per fare il paragone con i pianeti, è come se adesso non volessimo più conoscere la loro intera traiettoria, ma solo se stanno girando in verso orario o antiorario intorno al sole. Una sola informazione. In meccanica quantistica, questa informazione viene solitamente chiamata spin. E lo spin può avere solo due valori possibili: su o giù. Orario o antiorario.
Ecco che, per descrivere lo spin di una particella, abbiamo due sole possibilità da considerare. Quindi ci bastano due parametri da dare: la probabilità che una certa particella abbia spin su e la probabilità che abbia spin giù. Due numeri.
Come avrete ormai immaginato, il problema si genera quando iniziamo a considerare più particelle. Prendiamone due allora. Quindi abbiamo due spin da considerare. Quante sono le possibilità ora? Provo ad elencarvele:
1) Su Su
2) Su Giù
3) Giù Su
4) Giù Giù
Quattro, quindi. Cosa ho dovuto fare per considerarle tutte? In pratica, per ogni possibilità per il primo spin, devo considerare un possibilità del secondo. Ecco qui la chiave di tutto: il per. È qui che entra in gioco la moltiplicazione alla base del comportamento esponenziale. Siccome stiamo parlando di possibilità e non di proprietà sicure, elencarle tutte richiede moltiplicare tutte le possibilità delle singole particelle fra di loro.
Se volete convincervi, provate ad elencare tutti i possibili spin per tre particelle. Secondo la regola della moltiplicazione dovrebbero essere 4x2 = 8.
E quindi, ecco che basta arrivare a 10 particelle per dover tenere in conto di 2x2x2x2x2x2x2x2x2x2 = 1024 parametri. Tanti da riempire vari fogli. Semplicemente per voler descrivere lo spin di tutte e dieci. Figuratevi che con 100 non basterebbe la memoria di un supercomputer per elencare tutti questi numeri. E con 1000, non ci sarebbero abbastanza pianeti nell’Universo per farlo.
Vi spaventa? A me un pochino sì. Non è una questione da poco. Ed è uno dei motivi per cui studiare il comportamento di molecole complesse è così difficile. Anche se avremmo tutti gli ingredienti a disposizione per farlo. Quello che ci manca, è avere liste abbastanza lunghe per descrivere le proprietà dei vari atomi nella molecola.
Ma considerate pure che questo comportamento esponenziale è alla base di tante idee dell’informazione quantistica. Tipo del fatto che computer a base di qubit potrebbero considerare problemi che un computer normale non avrebbe abbastanza memoria per risolvere.
Con questa nota positiva finale passo e chiudo per questo quinto episodio della newsletter. Come sempre, spero che vi sia piaciuto e vi abbia stimolato una sana dose di curiosità. Commentate qui
o scrivetemi in privato se avete domande/commenti/qualunque cosa. Sono sempre felice di leggervi e rispondervi.
Nel frattempo, noi ci rileggiamo fra tre settimane. Sì, avete letto bene, tre. Questa settimana sono in visita di ricerca al gruppo dove ho fatto il dottorato, e credo che sarà bella intensa. Quindi ho deciso di prendermi una settimana di pausa per metabolizzare il tutto e ricaricarmi per il prossimo episodio. Non vi preoccupate, non sarà un’attesa esponenziale, solo una settimana in più.
A presto!
Un grazie speciale
A tutti i membri della community su Instagram, che mi hanno aiutato a tirar fuori un nome per il gioco a premi quantistico di Gerry Scotti. Ora non ci resta che convincere Mediaset a far diventare questo sogno una realtà.
Un disclaimer finale
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