Nel campo della fisica, i fotoni sono stati sempre i primi della classe.
Se la fisica fosse una scuola elementare, e andassimo a visitare la sezione dedicata alle particelle, i fotoni sarebbero quelli che “Ma voi genitori che ci venite a fare al colloquio? Vostr@ figli@ è l@ studente modello.”
Talmente la voglia di fare i primi in tutto, che sarebbero sempre i più veloci a consegnare i compiti in classe.
E, ovviamente, i primi dell’appello. Quelli che veramente non c’è mai nessuno prima da chiamare.
Non solo quelli che c’hanno il cognome che inizia per “A”, ma proprio per “A-B-A”.
Della serie che qualcun@ col cognome che viene prima in ordine alfabetico non l@ trovi neanche se ti ci impegni.
E se descritti così non v’avessero già fatto venire l’urticaria, c’è di più: sono pure socievoli.
Non solo tra di loro, ma pure con gli altri. Gli piace fare gruppo, scambiarsi messaggi con tutti e andare alle feste.
Sono un po’ quelli che tengono unito il gruppo classe.
Insomma, manco ce la fai a farteli stare antipatici.
Metafore a parte: la verità, forse un po’ scomoda, è che la luce è da sempre un tassello fondamentale della fisica. Lo è stata prima, durante il dominio della fisica classica. Lo è stata più avanti, nel Ventesimo secolo, come uno dei protagonisti indiscussi delle due grandi rivoluzioni nel campo della fisica moderna: la relatività e la meccanica quantistica. E lo è ancora adesso, con gli sviluppi più recenti del campo dell’informazione quantistica e delle cosiddette tecnologie quantistiche.
Non a caso, quando nella scorsa newsletter vi ho voluto fare l’esempio pratico più semplice ed immediato di sovrapposizione quantistica, mi sono ritrovato a citare i fotoni.
Insomma, credo sia il caso di analizzare un po’ meglio da dove vengono e come funzionano queste particelle di luce.
La luce come prima grande unificazione nella fisica classica
Mentirei se dicessi che sono in grado di recitarvi la storia dello studio della luce. E siccome Wikipedia e molte altre fonti possono farlo meglio di me, mi limiterò a darvi la mia visione molto condensata e personale.
Visione.
Capita la battuta?
Lo so, se c’è bisogno di chiedere, vuol dire che non ha funzionato.
Farò il poetico, ma mi piace pensare che la luce è da sempre la nostra prima interazione con il mondo. E secondo me, anche la prima cosa a stimolare un qualche tipo di interrogativo ai cervelli dei nostri antenati primitivi.
Me li immagino così, tra una caccia e una raccolta di bacche, a sedersi davanti ad un bel tramonto e chiedersi: “Ma cos’è ‘sta cosa che viene emessa da altri oggetti (sole, fuoco e luna, per dirne un paio) e assorbita da molti altri? E che se la prendi di taglio, rimbalza su laghi e fiumi e acceca le persone. Che, se poi se ne va, non ci vediamo più niente e se nella notte dobbiamo andare a svuotare la vescica sbattiamo il mignolo contro lo spigolo della caverna e ci tocca svegliare tutta la tribù per quanto caspita fa male.”
La nostra storia di interrogativi sulla luce non è finita così, e ben presto l’umanità è passata a interogarsi in modo più approfondito su come funziona questo fenomeno fisico che ci garantisce di vedere.
Ad un certo punto, ci siamo inventati l’ottica geometrica. Ovvero quella teoria che cercava di spiegarsi il comportamento della luce, immaginandosela come una cosa composta da raggi. Tante piccole linee, che viaggiavano da delle fonti che le emettevano, andando a sbattere contro altri oggetti. E dando luogo a fenomeni come la riflessione, la rifrazione e la diffusione.
Ovvero, per gli amici:
1) Quella cosa che rende i tramonti sull’acqua particolarmente spettacolari,
2) quella cosa che ci va vedere gli oggetti spezzati quando li immergiamo nell’acqua e
3) il motivo per cui quando c’è nebbia non vediamo a più di un paio di metri di distanza.
Un po’ più avanti nel tempo, a suon di esperimenti, ci siamo resi conto che l’ottica geoemtrica andava bene, ma c’era anche di più. La luce, infatti, sembrava comportarsi come un’onda.
Cos’è un’onda, in poche parole? È un qualcosa che oscilla, ovvero che ha delle proprietà variabili (nel tempo e nello spazio), in maniera regolare. Pensate al caso delle onde del mare. Se vi fermate in piedi in un punto specifico, notate subito che l’altezza a cui vi arriva l’acqua cambia nel tempo. Ad un certo punto si alza, poi si abbassa, poi si alza ancora, e così via. Se prendeste un cronometro e misuraste quanto tempo passa tra un rialzamento all’altro, notereste che è sempre lo stesso. Questo è il fenomeno di oscillazione di un’onda nel tempo, nel caso specifico in cui la proprietà che oscilla è il livello dell’acqua, appunto. Lo stesso discorso si può ripetere con l’oscillazione nello spazio. Se fate una foto dall’alto delle onde del mare, noterete che il livello dell’acqua cambia a seconda del punto in cui guardate. E se misuraste la distanza tra due punti in cui l’acqua è allo stesso livello (tra due creste di onda, per esempio), notereste che è sempre la stessa.
Insomma, la luce si comporta in una maniera simile. Oscilla nel tempo e nello spazio. Non che la storia del raggi di luce sia del tutto sbagliata, le onde hanno in realtà una direzione e una velocità di propagazione, quindi si possono associare ad un raggio. E’ solo che ci sono un po’ di fenomeni che si spiegano solo con il fatto che, oltre ad essere un raggio, la luce oscilli. E quindi possa dare luogo, ad esempio, a fenomeni di interferenza o diffrazione.
Ovvero, per gli amici:
1) Quello che fanno le onde di un lago quando piove
2) Quello che fanno le onde del mare quando incontrano una strettoia.
Lo ammetto, non sono riuscito a trovare degli esempi con foto altrettanto interessanti per la luce. Se ne conoscete uno, fatemelo sapere, sono tutto orecchi.
Non solo, la natura ondulatoria della luce aiuta a spiegare anche un’altra sua proprietà molto importante: il colore. Vi ricordate la storia della distanza tra due creste d’onda? Quella quantità viene chiamata lunghezza d’onda. Avere una lunghezza d’onda più piccola corrisponde ad oscillare più velocemente, perché devo fare meno strada per passare da una cresta d’onda all’altra. O, equivalentemente, devo aspettare meno tempo fermo per vedere il livello dell’acqua alzarsi di nuovo.
Luce di colori diversi corrisponde a luce con lunghezze d’onda diverse. Ad esempio, una luce rossa ha una lunghezza d’onda più grande di una luce blu.
Mi direte: tutto bello, ma c’è un però. Per le onde nel mare, è l’acqua stessa ad oscillare. Cos’è che oscilla in queste onde di luce?
La risposta a questa domanda viene data dal signor James Clerk Maxwell alla fine del 1800. E, cosa interessante, la risposta coincide con la prima grande teoria unificata della fisica. Che intendo dire?
Dovete immaginarvi che, nella fisica fino al 1800, il ruolo dominante ce l’avevano le cosidette leggi di Newton. Leggi che - detta in maniera molto rapida - permettevano di descrivere il movimento di oggetti intorno a noi, sulla base di sostanzialmente una singola informazione: le forze che agivano su questi oggetti.
Per quello che se ne sapeva fino ad allora, il comportamento di tutto ciò che ci circonda si basava su queste fantomatiche forze. Newton stesso aveva teorizzato l’esistenza della prima di queste forze: la gravità. Ovvero la forza che fa sì che due oggetti si attraggano fra di loro semplicemente perché dotati di massa. Più massivo è un oggetto, più è forte l’attrazione che esercita sugli altri.
E indovinate un po’, qual è l’oggetto più massivo che abbiamo intorno a noi? La Terra stessa. Per questo tendiamo sempre a cadere verso il basso. Avete presente la storia di Newton e la mela, no?
La storia delle forze non finisce con la gravità. Non molto dopo, vari esperimenti rilevarono che gli oggetti potevano anche possedere un’altra proprietà oltre la massa: la carica elettrica. A differenza della massa, la carica elettrica può essere sia positiva che negativa. E la forza elettrica, al contrario della gravità, può far sì che oggetti con carica opposta si attraggano, mentre oggetti con carica uguale si respingano. La storia di queste forze, poi, si complicò molto rapidamente. Ci si accorse che esisteva anche un’altra forza: quella magnetica. All’inizio questa terza forza sembrava essere ancora diversa dalle altre due: ad esempio, oggetti che esercitavano forza magnetica sembravano sempre venire con due poli, uno negativo ed uno positivo. Poi iniziarono i primi collegamenti con la forza elettrica: si scoprì, tra le altre, che oggetti con una carica elettrica in movimento potevano generare una forza magnetica.
La soluzione a questo incastro di forze venne da Maxwell, che derivò le sue famose quattro equazioni per unire insieme la forza elettrica e magnetica come parte di una singola forza: quella elettromagnetica. Di colpo, da tre forze fondamentali, si tornava ad averne solo due: gravità e forza elettromagnetica appunto.
E in contemporanea a questa elegante unificazione, le equazioni di Maxwell risolsero anche la questione delle onde di luce. La luce, infatti, non è altro che un’onda elettromagnetica. Ovvero, un’onda che rappresenta delle forze elettriche e magnetiche che oscillano. Più forti in un punto, meno forti in un altro. Con variazioni che si ripetono ad intervalli regolari.
Sembra strano immaginare che la stessa cosa che ci permette di vedere sia niente altro che una forza che oscilla. Eppure è così.
E dobbiamo ringraziare Maxwell per aver gettato luce su questo fenomeno.
Dai, non potevo chiudere questa sezione senza un’altra freddura.
Perdonatemi.
La luce come prima scintilla delle rivoluzioni del Novecento
La fisica moderna nasce con due grandi rivoluzioni, entrambe avvenute nei primi decenni del Novecento. Una di queste, è la nostra cara meccanica quantistica. La seconda, è la teoria della relatività.
Da brava prima della classe, la luce fu un po’ la causa di entrambe.
Albert Einstein arrivò a formulare la teoria della relatività speciale per risolvere un problema che non riusciva a conciliare completamente il comportamento della luce con la fisica classica. Infatti, la luce è l’unica cosa che si muove sempre alla stessa velocità - la cosiddetta, indovinate un po’, velocità della luce - sia che siamo fermi, sia che viaggiamo a 130 km/h in autostrada.
Per quanto riguarda la meccanica quantistica, vi ricordate quando parlavo dei fantomatici articoli che hanno dato inizio alla rivoluzione quantistica? Entrambi avevano a che fare con il comportamento della luce. Sia l’articolo di Max Planck del 1900 che quello di Albert Einstein del 1905 puntavano nella stessa direzione: le onde elettromagnetiche sono in realtà composte da piccoli pacchetti di energia. Sono i cosiddetti "quanti di luce" o, per gli amici, i fotoni.
In pratica, la luce è stata la prima ad essere quantizzata. La prima vittima della meccanica quantistica.
E quindi, anche il primo esempio del cosiddetto dualismo onda-particella. Ovvero del fatto che, nel mondo microscopico, le particelle si comportano sia come onde che, appunto, come particelle.
Al contrario delle particelle atomiche (elettroni, protoni e neutroni), la luce ha fatto un percorso inverso nel suo ingresso in meccanica quantistica. Fino al 1900, nessuno aveva dubbio che gli elettroni si comportassero come delle particelle. Ovvero, semplificando molto, come delle palline che rimbalzano in giro. Quello di cui la fisica si è dovuta convincere con il tempo, è che si comportino anche come onde. E quindi diano luogo a quei fenomeni di interferenza e diffrazione di cui parlavamo prima. Con la luce è accaduto esattamente il contrario. Al dire “la luce è un’onda“, tutti i fisici e fisiche del 1900 avrebbero annuito vigorosamente. Fu compito della meccanica quantistica quello di far vedere che la luce è anche un’insieme di particelle. I fotoni, dicevamo.
Queste particelle di luce hanno delle proprietà che sono direttamente relazionate a quelle dell'onda che costituiscono. Ad esempio, ogni fotone ha un'energia proporzionale alla lunghezza d’onda della corrispondente onda elettromagnetica: tanto più questa oscilla veloce, tanta più energia trasporteranno i suoi fotoni. Per fare l’esempio di prima, i fotoni rossi sono meno energetici dei fotoni blu.
Insomma, i fotoni sono stati gli iniziatori delle due grandi rivoluzioni della fisica del Novecento. Vi sembra abbastanza come performance da primi della classe?
Indovinate un po’: c’è di più.
Come vi raccontavo nella prima newsletter, la meccanica quantistica è evoluta gradualmente e grazie ad uno sforzo corale. Nel corso dei primi decenni del secolo scorso, la fisica ha aggiunto sempre più pezzi ad un puzzle che finì per essere la moderna fisica quantistica e fisica delle particelle.
Da un lato i fotoni. Dall’altro la comprensione sempre migliore della struttura dell’atomo. La scoperta di nuove particelle: elettroni, protoni, neutroni, muoni, e tante altre che finiscono sempre per “oni” (no, non tutte le parole che finiscono per “oni” sono delle particelle).
A poco a poco, molti di questi pezzi sono stati riuniti a formare l’elettrodinamica quantistica. Ovvero la teoria più generale che conosciamo finora che descriva l’interazione tra fotoni e tutte le altre particelle che compongono la materia. Cosa intendo dire? Vi faccio qualche esempio:
1) Vogliamo capire come gli atomi di un materiale assorbono la luce? Possiamo usare l’elettrodinamica quantistica.
2) Vogliamo studiare come il gas dentro una lampadina a neon emette fotoni per illuminare la nostra stanza? Possiamo usare l’elettrodinamica quantistica.
3) La scoperta del laser? Grazie all’elettrodinamica quantsitica.
Al giorno d’oggi, la teoria dell’elettrodinamica quantistica ci ha permesso di fare alcune delle predizioni più accurate che esistano nella scienza. Ovvero previsioni sul valore di alcune quantità (ad esempio, la carica dell’elettrone), che si discostano di meno dello 0.00001 % dai valori misurati in laboratorio.
I fotoni come prime particelle singole
Se siete un poco come me, arrivat@ a questo punti i fotoni hanno cominciato a stufarvi.
Basta primati, no? Lasciate pure spazio a qualcun’altro ogni tanto!
E invece no. La luce ha un altro primato che ci riguarda molto e che quindi sono costretto a raccontarvi mio malgrado.
Negli ultimi decenni, lo studio dei fotoni e di come interagiscono con atomi e molecole è diventanto sempre più preciso. Un grosso passo in avanti in questa direzione è stato proprio l’utilizzo dei laser. Un laser non è altro che una fonte di luce molto particolare. È particolare, ad esempio, perché ha delle proprietà molto ben controllate. Ad esempio, i fotoni che compongono la luce di un laser hanno tutti un’energia molto simile fra loro. In pratica, il laser tende ad avere un colore di luce molto ben definito.
Questo fatto, insieme alla possibilità di poter focalizzare molto i fasci laser - cioè di far sì che tutti i fotoni si concentrino in un fascio molto stretto e colpiscano tutti la stessa zona - ci ha permesso di indagare il comportamento dei materiali in maniera molto accurata. Col tempo, questo studio è evoluto a sufficienza da diventare una branca molto vasta della ricerca in fisica: l’ottica quantsitica.
Per semplificare, l’ottica quantistica è un caso specifico dell’elettrodinamica quantistica, che studia tutti i casi in cui le particelle che interagiscono con i fotoni non si muovono molto. Ad esempio, il caso in cui andiamo ad illuminare con un laser gli atomi di un cristallo o di un qualunque altro oggetto. Al contrario, per capirci, degli elettroni e protoni di un esperimento tipico della fisica delle particelle, che sono tipicamente accellerati a velocità molto alte.
Uno degli avanzamenti più recenti dell’ottica quantistica è stata la scoperta di alcuni materiali che, se illuminati da un laser molto intenso, possono emettere una coppia di singoli fotoni separata dagli altri. Immaginatevi di sparare un raggio di luce molto potente contro una lente trasparente che, per gran parte, lascia passare questo raggio come se non fosse niente, ma che ogni tanto spara un paio di fotoni solitari in due direzioni diverse da quella del raggio. Questo fenomeno, dimostrato per la prima volta in un paio di esperimenti del 1967, si chiama “conversione parametrica spontanea” (o più comunemente nota con il suo nome e la sua sigla inglesi “spontaneus parametric down-conversion”: SPDC).
La SPDC ha permesso, per la prima volta, di poter generare e osservare un singolo fotone separatamente dagli altri. E quindi eccoci all’ultimo primato di cui volevo parlarvi. I fotoni sono le prime particelle ad essere state osservate e manipolate singolarmente.
Lo so, un po’ ve l’ho spoilerato nella scorsa newsletter. Però ora sapete come si fa a generare un singolo fotone.
Un grande vantaggio dei fotoni è che siamo in grado di fare tanti parallelismi tra proprietà macroscopiche e microscopiche della luce. Ovvero ci sono molte caratteristiche della luce come onda (cioè come fascio di tante particelle) che hanno un chiaro corrispettivo nelle proprietà della singola particella di luce.
Prima vi facevo il parallelismo tra il colore della luce e l’energia che trasporta un singolo fotone. Un altro esempio importantissimo è quello della polarizzazione della luce. La polarizzazione è una proprietà che caratterizza in maniera più specifica il suo comportamento ondulatorio. Vi ho detto che Maxwell ci ha fatto capire che la luce non è altro che un serie di forze elettriche e magnetiche che oscillano. La polarizzazione ci descrive in che modo oscillano questi campi, sia in termini di intensità che di direzione.
In foto vedete raffigurata la cosiddetta "polarizzazione circolare": in questo caso la forza elettrica, rappresentata dalla freccia, cambia di direzione mentre l'onda si propaga, mentre la sua intensità (data dalla lunghezza della freccia) rimane invariata. Per rendere il tutto meno astratto immaginiamoci di essere una particella carica che viaggia a cavallo dell'onda elettromagnetica. Quello che succederebbe è che mentre ci spostiamo, sentiremmo una forza che man mano ci spinge in una direzione diversa, ma sempre con lo stesso tipo di intensità. In particolare, si parla di polarizzazione circolare perché il modo in cui la direzione del campo elettrico cambia è proprio rotatoria. Ma esistono anche molti altri tipi di polarizzazione oltre a quella circolare.
A livello microscopico, la polarizzazione è associata a una proprietà dei fotoni chiamata spin. Lo spin è una quantità che rappresenta la maniera in cui una particella microscopica ruota su sè stessa. Per esempio, in un raggio di luce con polarizzazione circolare i fotoni ruotano intorno a un asse che è parallelo alla loro direzione di propagazione. Siccome esistono due tipi di polarizzazione circolare, detti circolare "destra" e "sinistra", allo stesso modo lo spin di un fotone può avere due valori, corrispondenti a una rotazione in senso orario e antiorario. Nella foto potete vedere proprio rappresentato uno dei due casi.
La cosa più interessante, però, è che esistono molti più modi in cui la luce può essere polarizzata. E ognuno corrisponde niente meno che a fotoni in stati di sovrapposizione quantistica dello spin.
C’è un grande vantaggio nascosto in questi parallelismi tra macro e micro. Il fatto è che sono secoli che studiamo come modificare le proprietà macroscopiche della luce. Ad esempio, sappiamo fabbricare prismi che permettono di separare la luce in fasci con differenti lunghezze d’onda. Sappiamo usare la riflessione su degli specchi per far cambiare direzione ai fasci di luce. Allo stesso modo, sappiamo produrre lenti che permettono di modificare il tipo di polarizzazione della luce che vi passa attraverso. Tutti questi oggetti ci permettono anche di manipolare le proprietà microscopiche di un singolo fotone. Lo stesso specchio di prima si può usare per cambiare la direzione in cui viaggia un fotone. La stessa lente di prima si può usare per creare un fotone in stato di sovrapposizione dello spin.
Così, gratis. Due al prezzo di uno.
Per tutti questi motivi, i fotoni sono stati i primi protagonisti del campo dell’informazione quantistica. Sono state le prime particelle che abbiamo usato per indagare come si può trasmettere, codificare e manipolare informazione attraverso una singola particella. Sono stati i primi bit quantistici, i primi qubit.
Non a caso, i primi esperimenti sullo studio dell'entanglement, ad esempio, sono proprio stati realizzati tra due fotoni.
La prima dimostrazinoe di crittografia quantistica? Con fotoni.
La prima generazione di numeri casuali quantistici? Con fotoni.
Che vi avevo detto?
Disgustosamente primi in tutto.
Ma allo stesso tempo, forse io non starei facendo il lavoro che faccio senza i fotoni.
E quindi non posso che dirgli mille volte grazie.
E ripagarli un pochino raccontando in giro la loro storia.
A questo punto passo e chiudo per questo terzo episodio di newsletter. Come sempre, spero che vi sia piaciuto e vi abbia stimolato una sana dose di curiosità. Commentate qui
o scrivetemi in privato se avete domande/commenti/qualunque cosa. Sono sempre felice di leggervi e rispondervi. Nel frattempo, noi ci rileggiamo fra due settimane.
A presto!
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