La posta di Schrödinger S1.E9
Perché gli algoritmi quantistici sono un concerto della Disney, con il cronometro
L’introduzione di oggi vorrei cominciarla con una riflessione personale.
Prometto che non sarà lunga, e in ogni caso facciamo che metto un annuncio quando la riflessione finisce. Così se non vi interessa potete tranquillamente saltare questi primi paragrafi e partire direttamente da lì.
Inizio del pippone
Il fatto è che, quando mi sono seduto a scrivere questo nono episodio, nella mia mente sono comparsi due pensieri in rapida successione.
Da un lato, mi sono detto: “porca miseria, dal prossimo episodio siamo in doppia cifra”. Questo pensiero lo dovevo alla cara sindrome dell’impostore che abita a scrocco una delle stanze del mio cervello. Tanto per ricordarle che, dopotutto, se inizio qualcosa a volte riesco pure a portarla avanti. E questa newsletter è persino sopravvissuta alle vacanze di Natale e allo scavallamento all’anno nuovo. Impresa non da poco, ve lo giuro.
Subito dopo, ho realizzato che l’argomento di questo nono episodio mi piace un sacco. E in effetti ce l’avevo tra le idee in cantiere da un po’ di tempo. Solo che continuavo a rimandarlo. Per una ragione ben precisa: nonostante il concetto generale che volevo spiegare non mi sembrasse così lungo, per spiegarlo bene richiedeva un’introduzione ad una serie di altri concetti. Cioè, niente di impossibile, ma che secondo me, spiegati tutti in blocco in una sola newsletter, diventavano un bel macigno da digerire.
E quindi ecco che questa idea di episodio è rimasta lì in attesa, che mi guardava. Tipo a sfidarmi: “dai che lo sai che vuoi scrivermi, viecce, se c’hai il coraggio”. Fatto sta che, mo che la doppia cifra di episodi si sta avvicinando, io sta soddisfazione a quell’idea non gliela volevo dare. Ti pare che poi finiva a rinfacciarmi che non sono riuscito a scriverla prima di vedere un “1” davanti al numero dell’episodio.
Quindi ho preso i miei foglio e matita e mi sono messo a buttare giù la scaletta di questo fantomatico episodio che mi piaceva tanto. E mi sono reso conto subito di una cosa: tutti quei concetti preliminari da introdurre, non li dovevo scrivere più. Non perché non servissero, ma perché, in un modo o nell’altro, ne avevo già parlato in una delle precedenti newsletter. E chissà, magari potevo anche sperare di essere riuscito ad affrontarli uno ad uno, con la dovuta calma. Masticati piano piano. Così da aiutare un po’ la digestione.
Tutta questa premessa per dirvi che questa cosa della newsletter per me sta funzionando alla grande. Perché due delle ragioni che mi avevano spinto ad iniziarla erano proprio queste. Da un lato poter affrontare concetti che, vuoi o non vuoi, richiedono il loro spazio e il loro tempo per essere spiegati bene. Spazio che i miseri 2200 caratteri di Instagram non ti danno. Dall’altro, riuscire a costruire piano piano una base di informazioni coerente, che possa servire da supporto per altri concetti, magari più avanzati.
Che poi spesso questi concetti avanzati sono anche le cose più interessanti, perché si avvicinano di più al mondo della ricerca attuale. Sennò si rimane sempre a raccontare le solite tre cose della meccanica quantistica, come se il mondo si fosse fermato ai primi anni del 1900. Perché secondo me, non tutte le cose affascinanti si possono condensare in un reel di 1 minuto. E il veder comparire qualcosa di costruito nel tempo, mattoncino dopo mattoncino, ha un suo bel valore.
Lo so, è anche più faticoso. Richiede sforzi di memoria e di riflessione aggiuntivi. Magari saltare avanti e indietro su episodi vecchi della newsletter. Però io un po’ credo - e spero - che ne valga la pena. Poi la verità è che la risposta finale la potete dare solo voi. Quindi, nel bene o nel male, non posso che chiedervi di non trattenere mai i feedback. Perché a cambiare si fa sempre in tempo. E dai commenti si impara sempre qualcosa.
Fine del pippone
Va bene, se c’è una cosa chiara del pippone di prima è che l’argomento di oggi lo trovo super interessante.
Una delle ragioni principali è il suo essere una questione estremamente attuale. Quello che voglio raccontarvi infatti riguarda un grande limite dei prototipi di computer quantistici che abbiamo al momento.
Faccio un piccolo passo indietro, per chi si fosse perso (quello che a me è sembrato) il bombardamento mediatico degli ultimi anni.
Da qualche anno a questa parte è iniziata una nuova fase nel campo della ricerca del computing quantistico. La fase in cui abbiamo a disposizione in maniera abbastanza massiccia dei prototipi di computer quantistici.
Questi prototipi sono interessanti, a mio parere, per almeno due aspetti. Primo, cominciano ad avere delle dimensioni non proprio trascurabili. Parliamo di 50-70 qubit, non un’enormità, ma neanche poco. Secondo, stanno cominciando ad essere tanti e sparsi in giro per il mondo. Perché ai prototipi che già esistevano in alcuni laboratori di ricerca si sono aggiunti molti altri, in particolare in mano a varie aziende, da colossi tecnologici come Google e IBM a start-up come IonQ.
Il primo aspetto ci dice una cosa molto affascinante: siamo ufficialmente entrati in un regime dove quello che accade dentro a questi computer quantisitci inizia a sfuggirci di mano. Dico così perché tenere traccia del comportamento di 50 qubit durante un algoritmo quantistico è un’impresa impossibile anche per il supercomputer più potente al mondo. Semplicemente perché non ha abbastanza memoria per farcela (parola di espisodio numero 5).
Il secondo aspetto ci dice, invece, che l’idea di far girare un algoritmo su un vero e proprio computer quantistico sta diventando molto più diffusa. Sia tra ricercatori e ricercatrici, che possono contare su sempre più possibilità di collaborare con qualcuno in possesso di un computer quantistico, sia tra il grande pubblico. Perché alcuni di questi prototipi sono persino disponibili via cloud.
Tutta questa situazione è particolarmente eccitante. E in effetti l’intero campo dell’informazione quantistica sta attirando sempre più attenzione negli ultimi anni. C’è chi già prova a ottimizzare i portafogli di investimento per migliorare i rendimenti. E chi si è lanciato nello sviluppo della medicina personalizzata. Tutto grazie ai computer quantistici.
E invece…
Perché lo so che vi state aspettando un “tutto bello, ma”.
E infatti la questione, come sempre, non è così semplice. Per quanto le cose stiano avanzando, per certi versi, più velocemente di quanto ci aspettassimo, siamo ancora ben lontani da vedere computer quantistici risolvere strabilianti problemi impossibili. O almeno, non abbiamo nessuna ragione di credere che questo accadrà con i prototipi che abbiamo a dispozione adesso.
Con la puntata di oggi non ho l’ambizione di spiegarvi tutta la storia. Però vorrei iniziare a spiegarvi perché le cose non sono così facili.
Anzi, parto ancora più modesto, oggi voglio spiegarvi uno dei vari perché.
Vediamo quale.
Qubit contro monete
Squilli di trombe e fanfare.
Anche stavolta, comincia tutto con il caro vecchio principio di sovrapposizione.
Immaginate che un@ vostr@ car@ amic@ possegga un qubit in sovrapposizione esatta di essere 0 e 1. Quindi, con una probabilità del 50% vale uno, e con una probabilità del 50% vale zero. Prendendo in prestito da un vecchio epsiodo la nostra amichevole notazione di Dirac, potremmo scrivere
0.5 * | 0 > + 0.5 * | 1 >
Quest@ amic@, a voi, non va particolarmente a genio. Perché si atteggia troppo. E infatti, ecco che si presenta con il gadget figo del momento: un qubit in sovrapposizione.
Voi però i contatti per rimediare un qubit in sovrapposizione non ce li avete. Eppure vorreste tanto. Ma pur di non chiedere un favore a quest@ amic@ vi buttereste con la tuta alare dal tetto di casa vostra. In un giorno di nebbia.
E allora decidete d ingegnarvi a modo vostro. Comprate un bit ricondizionato dal vostro negozio di fiducia. E ve lo portate in casa insieme ad una moneta qualsiasi. L’idea che vi è venuta è questa: tirare la moneta e, a seconda se esce testa o croce, mettere il vostro bit in 0 o in 1.
In effetti, l’idea non è per niente male. Dopotutto, la probabilità che esca testa o croce è la stessa. 50% per cento delle volte testa e 50% croce. Quindi questo bit sarebbe esattamente metà delle volte 0 e metà delle volte 1.
La cosa è talmente convincente che vorreste proprio brevettare l’idea. Già avete in mente il nome della vostra invenzione: “Chiubit: il qubit in sovrapposizione da fare a casa vostra con pochi semplici passi”. Con tanto di immagine pubblicitaria già pronta
Sai che invida che fareste a quell@ amic@?
Però, purtroppo, l’inghippo c’è. Anche se a prima vista non si vede.
È vero, sia il qubit vero che il vostro chiubit hanno la stessa proprietà: metà delle volte valgono 0, e metà delle volte 1. Ma c’è una cosa che li differenzia, e che purtroppo rende un chiubit niente altro che un qubit di serie B: la possibilità di fare interferenza.
L’interferenza quantistica non è una cosa da poco. Nella scorsa newsletter, vi dicevo come sia spesso un ingrediente fondamentale per avere un buon algoritmo quantisitco. Fatemi riassumere al volo: l’interferenza quantistica è un fenomeno che fa sì che le probabilità di una particella quantistica si possano manipolare in modo tale da azzerarne alcune ed amplificarne altre.
Ad esempio, sfruttando l’interferenza quantistica, si potrebbe manipolare un qubit in sovrapposizione, per far diventare nulla la probabilità di essere 0. Otterremmo praticamente un qubit scritto così
0 * | 0 > + 1 * | 1 >
Che alla fine, non sarebbe altro che un qubit deterministico il cui valore è sempre 1.
Con un chiubit questa cosa non sarebbe possibile. Perché alla fine si comporterebbe né più né meno di una moneta normale. E fidatevi, le monete non fanno interferenza quantistica. Le potete tirare come volete: da in piedi, da seduti, a testa in giù. Faranno sempre la stessa cosa: metà delle volte testa e metà delle volte croce. E lo stesso accade per i chiubit: manipolateli come vi pare, non arriverete ad azzerare le probabilità. Anzi, non le potrete proprio cambiare di un millimetro: metà delle volte 0 e metà delle volte 1.
E quindi brutte notizie per voi: anche oggi, l’invidia di quest@ amic@ la scatenate domani.
Qubit asociali
Alla luce di quello che vi ho appena raccontato, e di quanto l’interferenza quantistica sia una risorsa fondamentale per gli algoritmi quantistici, mi sento di darvi un consiglio.
Almeno per i qubit, non fidatevi delle sottomarche.
Affidatevi alle sovrapposizioni vere. Quelle che possono fare interferenza. Non alle brutte copie fatte con le monete e i bit classici del discount.
Questo messaggio, ovviamente, sta molto a cuore a chi vuole realizzare un buon prototipo di computer quantistico. Tanto che, a questa capacità di fare interferenza, in gergo tecnico è stato anche dato un nome: coerenza quantistica.
Un qubit in sovrapposizione, possiede coerenza. Un chiubit no.
Vabbè, ma perchè preoccuparsi così tanto? Dopotutto, con tutti i soldi che hanno, Google e IBM mica faranno i risparmiosi sui qubit, no?
Questo sicuramente, no. Figuriamoci. E lo stesso dicasi per i vari gruppi di ricerca che hanno sviluppato prototipi di computer quantistici da ben prima dell’arrivo di queste grandi aziende.
Il grosso problema è che, comprata una volta, non è così ovvio che la coerenza rimanga lì per sempre. Anzi. La coerenza quantistica è una proprietà estremamente delicata. Che si deteriora con molta facilità.
Basta molto poco. Qualche particella di passaggio che rimbalza contro il vostro atomo ogni tanto, ed ecco che il vostro qubit si trasforma molto rapidamente in un chiubit. Una manciata di fotoni vaganti provenienti dalla vostra lampadina in laboratorio e bye bye coerenza. Au revoir.
Tutti questi processi che danneggiano la coerenza di un qubit sono spesso chiamati - con non molta fantasia - fenomeni di decoerenza. E sono tutti intorno a noi. Anche perché, come potete immaginare, non è che possiamo sempre fare gli esperimenti al buio. E poi, pure se fosse, ci rimangono tutti i fotoni provenienti dal sole. Magari qualcuno passa anche attraverso le pareti della stanza. E le particelle dei raggi cosmici. Che dire, poi, di tutte quelle maledette paricelle che si trovano nell’aria? (sì, anche quelle con cui respiriamo, purtroppo). O anche delle macchine che passano per strada e causano delle microvibrazioni al pavimento del laboratorio?
C’è poco da fare, i qubit sono esseri che starebbero molto meglio da soli. A fare i loro giochi di sovrapposizione con calma e serenità, senza nessuno che li disturbi.
I ricercatori e tecnici a lavoro su questi prototipi di computer quantistici ce la mettono tutta per isolarli, i loro qubit. È per questo che, quando vedete le foto di molti prototipi quantistici, si assomigliano tutti fra loro. In realtà, il chip contenente i qubit veri e propri è molto piccolo. Quelle bestie di contenitori che vengono mostrate sono tutto quello che c’è intorno al chip e che tenta in tutti i modi di proteggere i qubit dai pericoli del mondo esterno.
Prendiamo il caso di computer quantistici a superconduttori, tipo questo di IBM
L’ammasso luminoso di fili contiene, fra le altre cose, tutto l’insieme di dispositivi con cui si cerca di isolare termicamente il chip quantistico e portarlo a temperature bassissime. Prossime al cosiddetto zero assoluto. Perché temperature più alte implicherebbero eccitazioni gratuite dei qubit e di tutto ciò con cui sono a contatto. Scambi di energia con il mondo esterno. E quindi decoerenza.
Lo stesso dicasi dei prototipi di computer quantistici a ioni intrappolati, come quello di IonQ. Se vi fate un giro sul loro sito web, vedete che, prima di inscatolarli, gli ioni vengono infilati dentro una sorta di casco da sub. Tipo questo
Il dispositivo che vedete altro non è che una camera da vuoto. Ovvero un attrezzo che cerca di eliminare tutte le particelle atmosferiche al suo interno. Così da lasciarci solo gli ioni, liberi di fare i qubit senza interferenze esterne.
Corse quantistiche contro il tempo
Nessun@ è perfett@.
Nemmeno i computer quantistici.
Figuriamoci poi i metodi usati per isolarli. Per quanto ci si sforzi, qualcosa sfugge sempre. Certo, non parliamo di falle colossali. Ma di piccoli, fastidiosissimi dettagli. Eppure, per quanto piccole, queste mini interferenze fanno i loro maledettissimo lavoro. Causano decoerenza.
Prendete uno qualunque dei prototipi quanitstici attuali. Per immaginarvi l’effetto della decoerenza, fate conto che il prototipo si comporti come una clessidra. Il momento in cui accendiamo il computer e prepariamo i nostri qubit in sovrapposizione, è il momento in cui giriamo la nostra clessidra a testa in giù. Da lì in poi, la sabbia inizierà a scendere. Quella è la coerenza dei qubit, che piano piano se ne va via. Rovinata inesorabilmente dalle ingerenze - fortunatamente poche - del mondo esterno. Quando anche l’ultimo granello è sceso, i giochi sono fatti: i nostri qubit si sono definitivamente trasformati in chiubit. E addio interferenza quantistica.
Se volete un riassunto visivo di quanto vi ho detto finora, vi consiglio questo video.
Nell’esempio che considerano, si parla di sovrapposizione quantistica di livelli energetici di un atomo. Immaginate che, quando l’atomo è eccitato, potremmo considerarlo l’1 di un qubit. Mentre quando non è eccitato, corrisponde ad un qubit che vale 0. L’onda elettromagnetica non è altro che il modo in cui manipoliamo il qubit in modo da ottenere interferenza quantistica. E le oscillazioni che si vedono nel video sono poprio gli effetti dell’interferenza. Ad esempio, quando l’oscillazione è al massimo, l’interferenza ha creato un qubit deterministico che vale sempre 1, perché l’atomo sarà sempre eccitato. Dopo un po’ di tempo, però, l’ampiezza delle oscilazzioni diminuisce, fino a scomparire. Quello è l’effetto della decoerenza. Il momento della scomparsa delle oscilazzioni coincide con la fine della clessidra. L’atomo è ufficialmente diventanto un chiubit. Niente più interferenza. E infatti ora abbiamo un qubit che sarà sempre 0 e 1 con la stessa probabilità.
Quello che vedete nel video è anche il modo in cui si può misurare il tempo di decoerenza di un qubit. Ovvero il tempo che ci mette l’interferenza a scomparire del tutto. Questo numero è uno dei parametri fondamentali dei prototipi quantistici attuali. E infatti, viene sempre riportato come uno degli indici di qualità di un computer quantistico. In gergo tecnico, viene chiamato T2. Ecco un esempio di tabella che riporta il tempo di decoerenza, per uno dei computer quantistici di IBM.
Questa disamina dei qubit e delle loro sottomarche, era per farvi capire questa cosa. Gli algoritmi quantistici di oggi non sono una passeggiata rilassata. Sono una corsa contro il tempo. In cui il cronometro ha un limite, fissato dal tempo di decoerenza. Se tocchiamo il traguardo dopo il limite, i nostri qubit servono a ben poco. Niente coerenza tipicamente significa risultati da buttare. Bisogna ricominciare da capo, e sperare di essere più veloci.
Per questo, se penso agli esperimenti attuali, tipo l’esperimento di supremazia quantistica di Google, mi immagino una scena tipo il corto della Disney “L’ora della sinfonia”. Se non l’avete mai visto, vi consiglio di recuperarlo in qualche modo. La storia vuole che un’orchestra si ritrovi, subito prima di un concerto, con tutti gli strumenti musicali schiacciati da un ascensore. E i poveri musicisti tentano disperatamente di suonare il concerto fino alla fine, sperando che gli strumenti non si rompano del tutto prima.
Ecco, questo è quello che mi passa per la testa quando penso al computer quantistico di Google mentre prova a far girare un algoritmo. Con i suoi poveri qubit che man mano perdono pezzi di coerenza. E cercano in tutti i modi di arrivare fino alla fine con un poco di interferenza rimasta.
Per questo siamo ancora ben lontani dal poter utilizzare i computer quantistici per tutto quello che vorremmo. Per ora, dobbiamo volare basso, e limitarci a tutti quegli algoritmi che siano rapidi abbastanza. Più corti di T2.
E con questo passo e chiudo per questo nono episodio della newsletter. Se voleste portarvi a casa una sola cosa, da questo episodio, vi prego guardatevi il corto della Disney. Per me è impagabile. Per il resto, spero che l’episodio sia piaciuto e vi abbia stimolato una sana dose di curiosità. Commentate qui
o scrivetemi in privato se avete domande/commenti/qualunque cosa. Sono sempre felice di leggervi e rispondervi.
Nel frattempo, noi ci rileggiamo fra due settimane.
A presto!
Un disclaimer finale
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