La posta di Schrödinger S1.E8
Esperimenti dal nome poco fantasioso e, finalmente, delle buone notizie
Buon 2022, carissimə lettori e lettrici della posta di Schrödinger.
Spero abbiate passato delle buone vacanze Natalizie. O, se non l’avete fatto, che ci sia stata perlomeno una buona ragione.
Io non mi posso lamentare di come sono andate le mie. Mi sono rilassato molto. Ho viaggiato un bel po’, camminato in montagna e mangiato un sacco, come spesso mi capita quando rientro in Italia. Sempre come al solito, non ho mantenuto fede a molte delle cose che mi ero ripromesso di fare in queste settimane di pausa. Ma comincio a credere che sia inevitabile, almeno per il mio standard di vacanze.
Fatto sta che mi ritrovo a dover correre ai ripari della mia nullafacenza. E sono qui a finire di scrivere questo episodio di newsletter il giorno prima della sua uscita.
Quindi non perdiamoci in altri convenevoli. Anche perché ogni frase in più sono minuti che mi separano dalla conclusione di questo episodio.
La seconda parte della storia
Nella scorsa newsletter, vi avevo promesso una storia in due parti.
Nella prima, vi ho raccontato in dettaglio cos’è che NON fanno i computer quantistici.
Nella parte di oggi, è il momento di passare a notizie più positive. E cercare di affrontare il tema di cosa fanno, quando funzionano bene, i computer quantistici. E perché riescono ad essere effettivamente più veloci a risolvere determinati problemi matematici.
Prima però, come ogni storia in due parti che si rispetti, non può mancare il riassunto della puntata precedente.
Nello scorso episodio vi ho raccontato di come il principio di sovrapposizione permetta ad un computer quantistico di fare i calcoli in parallelo. Ad esempio, se cerchiamo di trovare il percorso più breve tra una serie di molti possibili, un computer quantistico ci permette di calcolare la distanza di tutti i percorsi possibili in contemporanea.
Fin qui tutto bello, ma poi vi ho detto che la storia non è così bella come sembra. Perché, alla fine di questi calcoli in parallelo, quella che ci ritroviamo in mano è una sovrapposizione dei risultati possibili. Ad esempio, una sovrapposizione di distanze, una per ogni percorso. E come ogni sovrapposizione che si rispetti, quando misuriamo i qubit, non sappiamo quale distanza otterremo. Sarà semplicemente una delle possibili.
Siccome abbiamo iniziato provando ogni percorso con la stessa probabilità, otterremo ogni distanza possibile con la stessa probabilità. Così che, per trovare il percorso più corto, siamo costretti a ripetere tutto il calcolo un sacco di volte, misurare, ottenere una nuova distanza, e confrontarla con le precedenti. Ed ecco che tutto il vantaggio di aver fatto i calcoli in parallelo sparisce.
Sembra una strada senza uscita, in cui un computer quantistico non ha niente di più speciale di un computer normale.
Lo so, in questo episodio vi avevo promesso buone notizie.
E le buone notizie sono che, in realtà, una via d’uscita al problema di prima c’è.
Immaginate di poter prendere le probabilità della sovrapposizione di prima, ed iniziare a massaggiarle un pò. Stiracchiando una e amplificando un’altra. Così che misurando i qubit, anziché avere la stessa probabilità di ottenere ogni distanza, alcune distanze ora uscirebbero con maggiore probabilità.
Se fossimo proprio dei bravi massaggiatori di probabilità, vorremmo che la distanza del percorso più breve fosse quella che ha la massima probabilità nella sovrapposizione. Così che, misurando i qubit, sarebbe molto probabile che ottenessimo la distanza minima come risultato.
Se così fosse, avremmo risolto i nostri problemi. Perché ora basterebbe ripetere l’algoritmo poche volte, e saremmo sicuri nel giro di pochi tentativi, otterremmo la distanza del percorso migliore come risultato della misura. Semplicemente perché è la più probabile.
Vi ho convintə con la storia del massaggio di probabilità?
Forse non troppo. Credo sia il caso di spiegarlo un poco meglio.
Frange di interferenza
Come spesso capita, c’è una parte della newsletter in cui divaghiamo su un argomento che sembra completamente scollegato. Per poi analizzare alla fine come si relaziona con il tema principale.
E quindi, anche stavolta, vi chiedo la pazienza di seguire questo ragionamento, perché prometto che poi si torna sul tema computer quantistici.
Il detour di oggi riguarda l’interferenza.
I fenomeni di interferenza sono cose che accadono quando due onde si incontrano. Un’onda, più che un oggetto vero e proprio, è un tipo di comportamento. Ci sono vari fenomeni fisici che si comportano da onde, in varie situazioni e contesti diversi. Nella puntata dedicata ai fotoni vi avevo fatto vedere qualche esempio.
Per dirne una, l’altezza dell’acqua del mare si comporta come un’onda. Oppure l’intensità della luce che ci arriva dal sole.
Brevissimo ripasso di cos’è un’onda: si dice che un fenomeno fisico sia un’onda, se ha un andamento oscillante nel tempo e nello spazio. Ad esempio, se stiamo fermi su un punto della riva, vedremo che l’acqua del mare si alza e si abbassa ritmicamente. Allo stesso tempo, se fotografiamo il mare dall’alto, vediamo un ripetersi di creste di acqua più alta e di picchi di acqua più bassa.
Supponiamo ora di vedere due onde che si incontrano. Ad esempio, quelle generate da un motoscafo che sta passando vicino alla riva e quelle che sono presenti naturalmente nel mare per via della corrente e del vento. Si genererà un nuovo comportamento ondoso (una nuova onda), che sarà la combinazione dei due tipi di onda che si sono incontrati.
Per capire come appare questa nuova onda risultante, dobbiamo analizzare come si combinano le onde. La regola di base è che quando due onde si incontrano, bisogna sommare le due altezze per ottenere quella finale.
Ora però, l’altezza di un’onda si misura in una maniera un pò specifica, ovvero a partire dal valore medio. Pensate al valore medio delle onde del mare come all’altezza che ha l’acqua quando il mare è calmo e piatto. A questo punto, quando invece è ondoso, possono accadere due cose: in alcuni punti, l’acqua è più alta della media, in altri, è più bassa. Nel primo caso, associamo all’altezza dell’onda un valore positivo, ad esempio, diciamo che in un certo punto l’acqua è a +20 centimetri dal livello medio. Nel secondo caso, associamo un valore negativo di altezza, ad esempio diciamo che in un altro punto l’acqua è a -15 centimetri dal livello medio.
Se ora due onde diverse si incontrano, dobbiamo di nuovo dividere in due casi:
Primo, le altezze delle due onde hanno lo stesso segno (ad esempio, -20 e -12 centimetri, oppure + 13 e +16 centimetri). In questa situazione, se sommiamo le altezze delle due onde, il risultato sarà maggiore delle precedenti onde. Sia in positivo che in negativo. Quindi l’onda risultante sarà più alta o più profonda delle precedenti prese separatamente (negli esempi che avevo fatto, sarà a -32 o +29 centimetri di altezza rispetto alla media). E quindi parliamo di interferenza costruttiva.
Secondo, le altezze delle due onde hanno segno opposto (-20 e +12 centimetri, per dire). In questo caso, se sommiamo le due altezze ci andiamo a perdere, e otteniamo un’onda meno alta o meno profonda. -8 centimetri, nell’esempio che ho fatto. E quindi parliamo di interferenza distruttiva, perché le altezze delle due onde tendono a compensarsi e ad avvicinarsi all’altezza media. Fino al caso limite in cui le due altezze sono uguali e opposte, e otteniamo proprio un punto piatto, ovvero a 0 centimetri dalla media.
Se volete vedere in azione un classico esempio di interferenza, basta buttare due sassi in un lago, a poca distanza fra loro. Ogni singolo sasso genera le classiche onde concentriche che, incontrandosi, creano delle figure complicate, date appunto dall’interferenza. Come potete vedere illustrato molto bene in questo video al minuto 4:45.
La nostra vita è piena di fenomeni di interferenza, che ce ne accorgiamo o meno. Passiamo da tutti quelli che avvengono nelle onde del mare, a cose molto più articolate, come l’interferenza di frequenze della luce che genera pattern di colori affascinanti nelle bolle di sapone
Senza affrontare casi così complicati come quello nella foto, fatemi analizzare un esempio più semplice di fenomeno di interferenza della luce. Ovvero l’esperimento della doppia fenditura.
L’idea dell’esperimento della doppia fenditura è abbastanza semplice. Prendete una fonte di luce e fatela passare attraverso un muro con due piccole fenditure verticali. (lo so, non sareste mai riusciti ad indovinarlo direttamente dal nome).
Fatto sta che, facendo questa semplice cosa, quello che vedreste dall’altro lato del muro sarebbe un alternarsi di zone più o meno illuminate. Spiegato con una gif, apparirebbe più o meno così.
L’esperimento della doppia fenditura fu realizzato per la prima volta da Thomas Young nel 1801. E infatti viene spesso chiamato anche esperimento di Young. (Solo che poi vi sfido ad associarlo alle due fenditure, con quel nome).
Pensate che l’esperiento di Young viene considerata la prima dimostrazione sperimentale dei comportamenti ondulatori della luce. Proprio perchè è un esempio di interferenza tra due onde.
Dove sone le due onde, mi direte?
Il fatto è che le la luce, quando viene fatta passare attraverso due piccole fenditure, è come se generasse due onde indipendenti. Praticamente, mentre il resto del muro assorbe tutta la luce in arrivo, le fenditure si comportano come due sorgenti di una nuova onda luminosa. E il pattern di luci e ombre che si genera è causato proprio dall’interferenza tra queste due onde. Spesso, in gergo tecnico, chiamamo questi pattern frange di interferenza.
Nel caso delle onde del mare, l’interferenza la vediamo in termini dell’altezza dell’onda. Nel caso della luce, e in particolare nell’esperimento di Young, l’interferenza si manifesta in termini d’intensita luminosa che osserviamo. Nelle zone di inteferenza costruttiva, l’intensità è più alta, perchè l’oscillazione delle due onde si combina. Nelle zone di interferenza distruttiva, dove le due onde si compensano fra di loro, l’intensità luminosa è più bassa. Fino ad arrivare a vere e proprie zone d’ombra, dove le due onde sommano proprio ad intensità zero.
Interferenza di particelle
Tutta questa storia serviva, guardate un po’, per finire a parlare di particelle.
C’è una ragione per cui vi ho raccontato un esempio di inferferenza della luce. Ed è per fare il parallelo con il caso delle particelle quantistiche.
Infatti, a costo di essere ripetitivo, vi ricordo che la luce si comporta sia come particella che come onda. Le particelle di luce solo i cosiddetti fotoni. Mentre, vista come un’onda, la luce è un’onda di forze elettriche e magnetiche che oscillano. (Per il ripasso lungo di questa storia, vi rimando al solito episodio sulla luce).
Quindi, dopo che vi ho spiegato come funziona l’esperimento di Young in termini di onde luminose, è ora di passare alla sua interpretazione in termini di fotoni.
Nel caso della luce, l’intensità dell’onda luminosa è direttamente collegata al numero di fotoni che sono presenti. Più un fascio di luce è intenso, più sono i fotoni di cui è costituito.
Ecco che le zone di luce ed ombra che compaiono nelle frange di interferenza dopo la doppia fenditura altro non sono che zone in cui sono presenti meno o più fotoni. Anzi, fatemelo dire meglio. E dirlo meglio, nel linguaggio della meccanica quantistica, significa usare le probabilità. Le zone luminose dell’esperimento della doppia fenditura, sono le zone dove è più probabile incontrare dei fotoni. Mentre le zone più scure sono le zone dove c’è meno probabilità di trovare un fotone. Fino al limite delle zone completamente buie, dove la probabilità di trovare un fotone è pari a zero.
Questo discorso si può ripetere per qualunque altro tipo di particella. Ad esempio, potremmo riprodurre l’esperimento della doppia fenditura con elettroni, invece di fotoni. Immaginate di lanciare tanti elettroni, uno alla volta, verso un muro con due fenditure. Immaginate poi di mettere qualcuno appostato dall’altra parte del muro, a misurare dove va a finire ogni elettrone che lanciamo. Per ogni punto in cui viene trovato un elettrone, questa persona metterebbe una bandierina gialla. A furia di lanciare elettroni e mettere bandierine, otterremmo la stessa figura che vi ho messo nella gif precedente. Ovvero zone piene di bandierine gialle, corrispondenti a dove sono stati trovati più elettroni, e zone con molte meno bandierine, dove sono stati trovati pochissimi elettroni.
Com’è che avviene l’interferenza, in questo caso?
Vi rigiro la domanda, chiedendovi: qual è il tipo di onda che fa interferenza, nel caso degli elettroni?
Se siete assiduə lettori e lettrici della newsletter - e se avete una memoria migliore della mia - ricorderete che la parola onda è comparsa quando parlavamo di equazione di Schrödinger. Infatti, c’è una cosa che in meccanica quantistica viene descritta come una funzione d’onda, ed è appunto la probabilità.
Quando vogliamo descrivere matematicamente lo scenario di “lanciare un elettrone contro un muro con due fenditure”, abbiamo bisogno di una funzione d’onda. Ovvero di qualcosa che ci dica, per ogni punto da un lato del muro, qual è la probabilità di trovarci l’elettrone.
Allo stesso modo, l’equivalente matematico di “mettere qualcuno a misurare dove va a finire l’elettrone dall’altro lato del muro" consiste nel calcolare come cambia la funzione d’onda dell’elettrone, dopo aver passato le due fenditure.
Se lo facessimo (e per farlo servirebbe proprio l’equazione di Schrödinger), scopriremmo che la funzione d’onda avrebbe di nuovo l’aspetto delle frange di interferenza della gif di prima. Solo che ora, anziché parlare di intensità della luce, dobbiamo parlare di probabilità. Le zone più gialle sono quelle in cui è più probabile trovare l’elettrone, mentre le zone grigie sono quelle in cui la probabilità è più bassa.
Così che, se ripetessimo il lancio dell’elettrone tante volte, vedremmo gli elettroni accumularsi nelle zone in cui la probabilità è più alta, esattamente come vi dicevo prima con il discorso delle bandierine.
Per concludere la sezione, vi lascio un altro video di un esempio di interferenza a doppia fenditura, che ho preso da una mostra a cui avevo assistito a Barcellona.
Algoritmi di interferenza
Questo è il momento in cui mi ricollego alla storia dei computer quantistici.
Nel riassuntone della puntata precedente, parlavamo di come i computer quantistici possono creare una sovrapposizione di tanti risultati possibili.
Ebbene, quella sovrapposizione, altro non è che una funzione d’onda. Ogni risultato, all’interno del nostro computer quantistico, si comporta come una posizione possibile di un elettrone. E la probabilità di ottenere quel risultato misurando i qubit è l’equivalente della probabilità di trovare l’elettrone da un certo lato del muro.
E allora, se anche la sovrapposizione di risultati possibili si comporta come una funzione d’onda, vuole dire che può essere soggetta ad interferenza, no?
Per continuare il parallelo di prima, vuol dire che possiamo riprodurre in un computer quantistico qualcosa di simile all’esperimento della doppia fenditura. E modificare la funzione d’onda in modo tale che si creino zone di luce e zone di ombra. Solo che stavolta, le zone di luce corrispondono a risultati che hanno un’alta probabilità di comparire quando misuriamo i qubit. Mentre le zone d’ombra sono risultati che non vedremo comparire quasi mai.
Ecco a cosa mi riferivo quando parlavo di “massaggiare le probabilità”.
In termine tecnico, quello che vogliamo da un buon algoritmo quantistico, è che riesca a sfruttare l’interferenza in modo intelligente. Così che, tra tutti i risultati possibili, quello corretto sia quello associato alle zone di luce. Mentre quelli che non ci interessano, se ne stiano relegati nelle zone d’ombra. In questo modo, non ci metteremo molto ad estrarre il risultato corretto dal nostro computer quantistico. Basteranno pochi tentativi.
Questo è il messaggio con cui volevo concludere la storia in due parti.
Un buon algoritmo quantistico ha bisogno di due ingredienti fondamentali:
La sovrapposizione in partenza, per poter effettuare calcoli in parallelo.
Una buona strategia di interferenza, per poter estrarre il risultato che ci interessa con un’altra probabilità.
I due ingredienti sono fondamentali, l’uno per l’altro. Senza sovrapposizione - ovvero senza funzione d’onda di probabilità - non esiste interferenza. Ma senza interferenza, una sovrapposizione di risultati è tanto utile quanto fare i calcoli uno alla volta, anziché in parallelo.
È anche vero che, dei due ingredienti, il numero uno ci viene dato gratuitamente. Basta inizializzare i qubit in sovrapposizione di 0 e 1, ed ecco che i calcoli vengono effettuati in parallelo. Al contrario, trovare una buona strategia di interferenza è molto complesso. Ed è tipicamente la parte fondamentale per inventarsi un algoritmo quantistico funzionante.
Purtroppo, ad oggi non conosciamo molti algoritmi che abbiamo una buona strategia di interferenza. Ad esempio, per il problema del commesso viaggiatore (o del pacco di Amazon) della scorsa newsletter, non conosciamo ancora il metodo di interferenza giusto.
Però esistono altri problemi per cui sappiamo come fare interferenza. Uno di questi è il famoso algoritmo di Shor, che risolve la cosiddetta fattorizzazione in numeri primi. Ma questa è una storia che merita una newsletter a sé, quindi dovrete aspettare.
Per ora passo e chiudo per questo ottavo episodio della newsletter. Come sempre, spero che vi sia piaciuto e vi abbia stimolato una sana dose di curiosità. Commentate qui
o scrivetemi in privato se avete domande/commenti/qualunque cosa. Sono sempre felice di leggervi e rispondervi.
Nel frattempo, noi ci rileggiamo fra due settimane.
A presto!
Un disclaimer finale
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