La posta di Schrödinger S1.E1
In cui mi perdo in qualche chiacchiera sul concetto di teoria scientifica e vi racconto la meccanica quantistica come se fossi un giornalista di inchiesta
Sono un po’ emozionato. Mi viene sempre difficile iniziare qualcosa da zero.
Quindi facciamo che mi butto e via.
E quale modo migliore per cominciare se non dalla domanda più banale ma anche più fondamentale di tutte?
Ovvero:
Cos’è la meccanica quantistica?
La meccanica quantistica è una teoria scientifica.
Mi rendo conto che il termine teoria può suonare fuorviante, specialmente perché il suo uso che ne facciamo tutti i giorni è spesso diverso da come viene inteso in ambito scientifico. E allora prima di continuare fatemi dire due parole in più al riguardo.
Facendo una breve ricerca su dizionari di sinonimi e contrari, ho trovato che la parola teoria potrebbe anche sostituirsi con: opinione, idea, credenza, ipotesi…
Ovviamente dipende tutto dal contesto, ma sono sicuro che se pensate per un attimo a qualche esempio in cui la parola teoria viene usata con accezione di opinione, ne trovate varie. “E’ solo una teoria”, oppure “La mia teoria al riguardo è che…”
Secondo l’uso corrente che ne facciamo nel linguaggio quotidiano, qualunque cosa che ci passi per la testa può ambire ad essere una teoria. Alla fine, l’unico requisito che sembra necessario è che sia stata in qualche modo pensata da qualcuno. Basta una persona sola. E una teoria, intesa in questo modo, non ha nessuna pretesa né di mettere d’accordo qualcuno, né semplicemente di corrispondere in qualche modo a dei fatti. Magari è una nostra interpretazione personale di qualche accaduto. O semplicemente una speculazione che ci è venuta in mente.
In ambito scientifico le cose stanno un po’ diversamente. Quando parliamo di teoria della relatività, di teoria dell’evoluzione o di teoria della deriva dei continenti, non stiamo parlando esattamente di opinioni personali. Sì ok, anche le teorie di questo tipo sono nate come idee nella mente di qualcuno. A volte di persone sole, come nel caso delle teorie della relatività speciale e generale. A volte come combinazione di tante piccole idee, riunite col tempo in un quadro generale. Come è il caso, appunto, della teoria della meccanica quantsitca.
Ma il punto centrale è che queste idee, nella scienza, devono sottostare a dei criteri molto specifici per poter ambire ad essere considerate delle teorie. Primo fra tutti, devono sia partire da che arrivare ad una concordanza con dei dati osservativi.
Tipicamente, una teoria scientifica nasce da qualcuno che, avendo alla mano dei risultati di un esperimento, tenta in qualche modo di darne una descrizione coerente. In sostanza, questa teoria è un insieme di regole che serve a descrivere il comportamento di qualcosa che abbiamo osservato.
Dopodiché, se vuole avere qualche ambizione di sopravvivere oltre il suo concepimento, una teoria scientifica deve anche permettere di fare predizioni. Ovvero di prevedere i risultati di potenziali nuove osservazioni. Così che, facendo nuovi esperimenti, si possa mettere alla prova questa teoria per capire se è una valida descrizione di ciò che ci circonda o no.
Tutto questo è un processo molto precario, che crolla al minimo segno di cedimento. Basta qualche esperimento che dia risultati in disaccordo con una teoria, e via che siamo costretti a buttarla nel cestino. O almeno a modificarla in qualche modo.
Quindi, più una teoria scientifica sopravvive al passare del tempo, e più possiamo in qualche modo considerarla solida. Perchè vuol dire che sta continuando ad essere messa alla prova da nuovi esperimenti, che non ci danno ragione di pensare che la teoria vada cambiata.
La meccanica quantistica, ad esempio, è in giro da circa un centinaio di anni. Non proprio pizza e fichi insomma.
Va bene, chiudiamo questa parentesi un tantino petulante sull’uso del linguaggio scientifico e torniamo alla nostra teoria preferita. Vi dicevo che una teoria scientifica è un insieme di regole per descrivere il comportamento di ciò che ci circonda.
La meccanica quantistica, in particolare, si occupa principalmente delle particelle microscopiche (atomi, molecole e cose del genere). Quelle che compongono sostanzialmente tutto quello che vediamo in giro.
Questo insieme di regole è particolarmente strano e controintuitivo, perché prevede l’accadere di una serie di fenomeni bizzarri che non osserviamo mai nella vita di tutti i giorni.
In un certo senso, la meccanica quantistica è un vero e proprio delitto al nostro senso comune.
E allora, visto che ci siamo, cerco di darvi un pò le coordinate di questo delitto, come farebbe un@ brav@ giornalista di inchiesta.
Come prima cosa, dobbiamo rispondere alle cinque domande principali.
Quando?
É difficile dare una data precisa alla formulazione della meccanica quantistica. Vi dicevo che è una teoria nata dalla combinazione di tanti piccoli tasselli, che con il passare del tempo sono stati riuniti in qualcosa di coerente.
Come prime date, devo necessariamente citare il 1900 e il 1905, anni della pubblicazione di due articoli scientifici che per la prima volta mettono in crisi la visione e della fisica fino a quel momento. E che cominciano a fare intravedere le storture del comportamento delle particelle.
Da un lato, abbiamo Max Planck, che nel 1900 introduce per la prima volta il concetto di quantizzazione nel mondo della fisica. Lo fa per elaborare una spiegazione al modo in cui un cosiddetto corpo nero emette luce. Dall’altro abbiamo la prima intuizione che la luce è composta da particelle, in uno dei tanti articoli pubblicati da Albert Einstein nel suo cosidetto annus mirabilis, - il 1905 appunto - quello in cui si trova una descrizione di un fenomeno osservato qualche anno prima: l’effetto fotoelettrico.
Non si può dire che Planck e Einstein abbiamo formulato da soli la meccanica quantistica. Però hanno decisamente avuto il coraggio di aprire una pista nuova, introducendo concetti controintuitivi ed estranei alla fisica del tempo, per la semplice ragione che servivano a spiegare delle osservazioni che non collimavano con le teorie conosciute fino ad allora.
Chi?
Nel caso non si fosse capito finora, la meccanica quantistica è stato uno sforzo molto collettivo. Un sacco di persone diverse hanno contribuito ad aggiungere una serie di pezzetti nel corso dei primi tre decenni del Novecento. Fino a che non siamo arrivati a qualcosa di coerente e comprensivo di tutto quanto: quella che ora chiamamo la teoria della meccanica quantistica.
Non vi cito tutti i contributi principali. Anche perchè finirei sicuramente per fare un torto a qualcuno. Però vi consiglio di andare a dare un’occhiata alla cronologia della formulazione della meccanica quantistica su Wikipedia. La trovo una bella maniera di visualizzare quanto è stato frammentato lo sviluppo di questa teoria.
Alcuni nomi ve li faccio, perchè sono quelli associati ai principali concetti della meccanica quantistica. Abbiamo Max Planck che dà il nome nientepopodimeno che ad una costante. Erwin Schrödinger e l’omonima equazione. Werner Heisenber e il principio di indeterminazione. Wolfgang Pauli e il principio di esclusione. Max Born, conosciuto per la regola che associa gli stati quantistici al concetto di probabilità.
Ce ne sono molti altri, ma vabbè, ormai mi sono tradito e vi ho fatto capire chi sono quelli che mi vengono in mente per primi.
Dove?
Chiaramente un po’ dappertutto. Tutti i nomi di fisici che vi ho citato erano affiliati in università differenti e sparse sostanzialmente per tutta Europa. Ci sono alcuni luoghi anche particolarmente immaginativi che pare abbiano coinvolto alcuni dei pezzi fondamentali della formulazione della meccanica quantistica.
Ad esempio, pare che Schrödinger abbia avuto l’intuizione finale riguardo alla formulazione della sua equazione mentre era in ritiro in una casa di montagna nel mezzo delle montagne svizzere. Così come Heisenberg ha messo a punto la cosidetta meccanica delle matrici - in pratica il primo grande tentativo di formalizzare la matematica alla base delle fisica quantistica - in vacanza su un’isola nel Mare del Nord chiamata Heligoland.
Ma il luogo sicuramente per eccellenza associato allo sviluppo della meccanica quantistica è l’Istituto Internazionale Solvay per la Fisica e la Chimica, a Bruxelles. Qui sono sono tenuti e si tengono tuttora, a partire dal 1911 e ogni (più o meno) tre anni, le conferenze Solvay per la Fisica, dedicate a discutere i temi più attuali della ricerca in ambito fisico. E provate un po’ a indovinare qual era il tema più scottante per la fisica ai tempi delle prime edizioni conferenze Solvay? Se andate a vedere la lista dei temi che danno il titolo ad ogni conferenza, troverete, nell’ordine:
1911: La teoria dell’irraggiamento e i quanti,
1913: La struttura della materia,
1921: Atomi ed elettroni (se ve lo state chiedendo, il salto di 7 anni è dovuto ad un certa guerra piccolina piccoletta accaduta nel mezzo),
eccetera eccetera, fino a temi più recenti come l’ottica quantistica nel 1991 o la fisica della comunicazione nel 2001 (ma qui mi fermo perché sicuramente ne parliamo meglio in qualche episodio successivo di questa newsletter).
L’idea delle conferenze Solvay era venuta all’industriale belga Ernest Solvay, che oltre a mettere il suo nome all’istituto e alla serie di congressi, ci mise anche tutti i soldi necessari a finanziare l’evento e le spese di viaggio per gli scienziati e le scienziate che vi partecipavano. Molte delle discussioni più accese tra i fisici coinvolti nella formulazione della meccanica quantistica sono avvenute proprio durante o a seguito di una presentazione data ad una conferenza di Solvay. Difficile quantificare l’impatto che ha avuto questa incredibile possibilità di condivisione e confronto data a fisici e fisiche ai tempi dello sviluppo di una teoria così paradossale e difficile da digerire. Fatto sta che un ruolo deve averlo giocato, almeno nelle menti delle persone coinvolte, visto che l’idea delle conferenze continua ad essere una pratica molto più che comune nel processo di ricerca scientifica a livello mondiale.
Come?
Da un parte, a forza di esperimenti sorprendenti, risultati inattesi, tentativi ed errori. E da un’altra parte, a forza di intuzioni matematiche più o meno assurde e geniali, ma anche discussioni accese, calcoli sbagliati e modificati, forzature giustificate a posteriori per far funzionare la propria idea. Insomma, un processo intricato e ben poco lineare. Specialmente se lo confrontiamo con il modo in cui viene insegnata e presentata la meccanica quantistica ora.
Se avete seguito in qualche modo - difficile non averlo fatto - i risultati scientifici legati alla pandemia ormai in corso da un anno e mezzo, forse vi sarà capitato di notare quanti salisciendi e cambi di programma ci sono stati nella nostra comprensione del virus Covid-19, e come constrastarne gli effetti e la diffusione. Se la cosa vi è sembrata difficile da digerire, o semplicemente sorprendente, fatevi un giro negli articoli scientifici e gli scambi di lettere avvenuti tra i fisici nei primi decenni del Novecento. Troverete qualcosa di molto simile.
Nonostante sia molto facile dimenticarsene, il processo a caldo delle scoperte scientifiche è pieno di errori, posizioni ideologiche e discussioni più o meno accese. Quello che distingue la ricerca scientifica dalle discussioni al bar, è che dalle singole idee e posizioni piano piano emerge qualcosa di coerente ed accettato dalla maggioranza. Ma soprattutto confermato dai fatti e dagli esperimenti. Per questo motivo possiamo dire che la meccanica quantistica è a tutti gli effetti una teoria scientifica.
Perché?
Perché abbiamo scoperto la meccanica quantistica? Perché la scienza si basa su osservazioni e dati. Nel momento in cui ti poni il compito di spiegarti come funziona il mondo intorno a te, devi necessariamente mettere alla prova le tue supposizioni. Perché il mondo della fisica ad inizio Novecento si è ritrovato di fronte a fenomeni inspiegabili con le teorie che si avevano a disposizione allora. Quello che osservavano falsificava le predizioni della cosidetta meccanica classica, la teoria fisica per eccellenza fino al 1900. E quindi c’era bisogno di una nuova teoria, almeno per spiegare il comportamento delle particelle microscopiche. Ma questo discorso, se siete arrivat@ a leggere fin qui, mi sa che ormai l’avete capito.
Poi, del perché la fisica del microscopico funzioni così, non lo sappiamo, ma forse neanche ci possiamo aspettare di scoprirlo a colpi di esperimenti. Un’osservazione che trovo molto interessate è “la scienza si occupa dei come, non dei perché”. Io la interpreto così: il compito che ci diamo come scienziati, è di trovare un modo di descrivere il funzionamento del mondo che ci circonda. In questo senso, è una sfida puramente descrittiva, che si accontenta nel momento in cui sviluppiamo una teoria che collima con lo osservazioni che facciamo. Chiedersi il perché il mondo funzioni così, e non in qualunque altro modo, a mio parere va oltre ciò a cui la scienza può sperare di rispondere. Dopotutto, se gli unici dati a disposizione che abbiamo sono dal ciò che ci circonda, che funziona nella maniera in cui funziona, come possiamo usare questi dati per rispondere a domande come: “E perché non funziona in un altro modo?”.
Questo discorso, in particolare, a me aiuta molto a fare i patti con i comportamenti paradossali della meccanica quantistica. Dopo vari anni di lavoro di ricerca, continuo a sorprendermi di quanto sia controintuitivo lavorare con i concetti della fisica del microscopico. Ed è anche un po’ frustrante per i miei sforzi divulgativi, a dir la verità, perchè è proprio difficile semplificare e usare paragoni della vita di tutti i giorni per descriviere il comportamento delle particelle. Ma appunto, non è che ci siano alternative. La fisica quantistica funziona così, e ormai abbiamo fin troppi esperimenti che ce lo confermano. Quindi non ci resta che rimboccarci tutt@ le maniche, e cercare di adattare le nostre menti a questo come, un passo alla volta.
E con questo passo e chiudo, per questo primo episodio di newsletter. Spero che vi sia piaciuto e vi abbia stimolato una sana dose di curiosità. Commentate qui
o scrivetemi in privato se avete domande/commenti/qualunque cosa. Sono sempre felice di leggervi e rispondervi. Nel frattempo, noi ci rileggiamo fra due settimane.
A presto!
Un mini disclaimer finale
Questa cosa della newsletter la stiamo un po’ scoprendo insieme. Credo che ci saranno inevitabilmente vari episodi di tentativi ed errori, in cui lo stile e la buona riuscita di queste email potrebbero cambiare abbastanza. Quindi se noti qualcosa di strano/brutto/divertente/quellochevuoi, fammelo sapere. Cerchiamo insieme di far diventare questa newsletter qualcosa di perlomeno piacevole alla vista. Grazie mille!