La posta di Schrödinger S1.E12
Per fare gli esperimenti di informazione quantistica in casa basta conoscere Superman
Dall’ultima volta che ci siamo lettə sono successe un po’ di cose.
La prima è che sono stato a Parigi per qualche giorno. Sono andato a trovare due miei ex colleghi del dottorato, che ora lavorano entrambi lì. Con l’occasione, ho fatto una rapida visita scientifica ad entrambi i gruppi dove lavorano, cosa che mi è piaciuta molto. Visitare altri gruppi di ricerca è parte integrante del lavoro che faccio, e riprendere a farlo più regolarmente mi fa ricordare di quanto mi mancava questa parte di vita. Ma mi rende anche molto contento, perché mi fa sentire che il ritorno ad un certa parvenza di normalità (almeno nella mia attività) è sempre più vicino.
Tra l’altro, uno dei miei due colleghi lavora per una start-up (questa) che sta sviluppando un prototipo di computer quantistico. Quindi visitarlo mi ha dato l’occasione di vedere per la prima volta dal vivo come funziona una realtà del genere. E mi ha colpito quanto la vita quotidiana in una start-up quantistica sia così simile a quella di un gruppo di ricerca. Cosa che mi sembra molto promettente, perché nel mio campo le opportunità di lavorare in ambiti del genere saranno sempre più frequenti nel prossimo futuro.
Sapendo che il periodo di visita a Parigi mi avrebbe tenuto molto occupato, inizialmente avevo pensato di ritardare l’uscita di questa newsletter. Ma alla fine ho preso coraggio e ho deciso di non farlo, e mi sono dato come sfida personale quella di provare a rispettare i tempi nonostante di tutto. Come avrete notato, ho miseramente fallito.
Ci si è messa in mezzo una sorta di intossicazione alimentare/influenza intestinale che mi ha messo ko proprio i giorni in cui volevo ultimare l’uscita della newsletter. E quindi eccomi qua, con colpevole ritardo, una settimana dopo del previsto.
Ma veniamo all’argomento di oggi. L’ultima volta vi parlavo di qual è stata l’idea alla base della nascita dell’informazione quantistica. E del cambio di prospettiva che ha generato. Stavolta, vorrei approfondire un aspetto complementare di quella storia. Ovvero una delle scintille che hanno contribuito all’accensione della lampadina nelle teste di chi per primo si è fatto venire in mente l’informazione quantistica.
Come direbbero dalle parti mie, non è che l’informazione quantistica s’è svegliata bella sgargiula tutto di un botto. L’idea di poter codificare informazione in delle particelle presuppone di poterle manipolare e analizzare liberamente. Una alla volta. Questo non è venuto a gratis. Guarda caso, l’inizio dello sviluppo dell’informazione quantistica ha luogo negli anni Settanta/Ottanta e non prima. E proprio in quel periodo gli avanzamenti tecnologici sono tali da permetterci per la prima volta di isolare e manipolare singole particelle.
Questa la versione corta della storia.
Ora mettetevi comodə, perché ve la racconto un pò più con calma.
Sequenze e parallelismi
Ormai lo sapete meglio di me, la meccanica quantistica fa predizioni di tipo statistico. Grazie all’equazione di Schrödinger, possiamo prevedere il comportamento futuro di una particella, e lo esprimiamo in termini di probabilità. Che probabilità avrà la particella di trovarsi in questo punto, domani? Che probabilità avrà la particella di avere lo spin che punta in su, fra cinque minuti? Eccetera, eccetera.
Tutto, in meccanica quantistica, parla di probabilità. Il principio di sovrapposizione parla di probabilità. Il risultato di una misura si interpreta in termini di probabilità. Il gatto di Schrödinger si spiega con le probabilità.
Da che mondo è mondo, però, la probabilità è una cosa che ci spiega l’andamento delle cose sui grandi numeri, non sul singolo evento.
Mi spiego.
Se tiriamo un dado, abbiamo la stessa probabilità di ottenere ognuno dei sei possibili risultati: 1,2,3,4,5,6. Pensiamo ora di tirare cinque dadi insieme: secondo voi è più probabile che esca questo risultato
O questo?
Blocco vuoto per lasciarvi pausa di riflessione
La verità scomoda è che entrambe le sequenze hanno la stessa probabilità di apparire. Anche se la seconda sembra molto sbilanciata verso il risultato 1. Il fatto è che la probabilità è una brutta bestia, che può trarre in inganno, soprattutto se la applichiamo a pochi eventi. Come il lancio di un dado cinque volte.
Se mai voleste trovarvi un’attività entusiasmante per passare un pomeriggio intero, provate a lanciare un dado mille volte e registrare i risultati. Se ora contate quante volte sono usciti i vari numeri, vedrete che le cose saranno molto più bilanciate. Magari non perfette, ma vi assicuro che 1,2,3,4,5,6 saranno usciti quasi lo stesso numero di volte. Può essere che l’uno sarà uscito 160 volte, mentre il due 170, il tre 165, e così via.
Se poi foste ambiziosə e non sapeste cosa fare con una settimana della vostra vita, potreste provare a lanciare un milione di volte. Oppure potreste dividervi il compito con qualche amic@ e passare un paio di fantastici pomeriggi a tirare i dadi in compagnia, mettendo poi i risultati tutti insieme. Di nuovo, vedreste che le frequenze di uscita dei vari numeri saranno ancora più simili tra loro, in proporzione.
Insomma, la probabilità è una cosa che si misura bene solo ripetendo lo stesso esperimento tante volte. E infatti, anche per la meccanica quantistica, capire se le proprie predizioni sono corrette si può fare solo con tante ripetizioni, sufficienti ad avere una stima delle probabilità dei vari risultati.
Come nel caso del dado, però, la ripetizione di tanti esperimenti uguali si può fare in due modi diversi: potreste scegliere (se siete masochistə) di usare un solo dado e tirarlo un milione di volte oppure potreste farvi frubə e comprare (o farvi prestare) cento dadi, per tirarli “solo” diecimila volte tutti insieme.
La storia della meccanica quantistica ha preso la seconda strada. Non tanto perché i fisici e fisiche dell’epoca fossero furbə (che poi, sicuramente lo erano pure eh). Ma perché non avevano proprio altra scelta.
All’inizio del Novecento, non è che le particelle si trovassero per terra, tipo monete cadute dalla tasca di qualche passante. Quello che si poteva provare a fare, era estrarle a forza da qualche oggetto, tipo quando si scuote il telo da mare per rimuovere la sabbia. E come per i granelli di sabbia, che non cadono uno alla volta (per fortuna), anche le particelle di solito escono a blocchi.
I famosi esperimenti che hanno permesso la formulazione della meccanica quantistica funzionavano tutti così. Estraevano un bel gruppo di particelle tutte insieme e le misuravano. Questo è vero sia per gli esperimenti sul modello atomico che per i famosi esperimenti della doppia fenditura o quello di Stern-Gerlach, tanto per citarne alcuni.
Il fatto di dover osservare un gruppo di particelle tutte insieme e non una alla volta non ha impedito la scoperta di tutti gli aspetti fondamentali della meccanica quantistica. Però, in qualche modo, ha caratterizzato la teoria in modo abbastanza peculiare. Per decenni, si ha avuto a che fare con predizioni che, nonostante parlassero del comportamento di una singola particella, richiedevano di tante particelle insieme per essere verificate.
Fatemelo ripetere. Da un lato, questa è una caratteristica intrinseca di una teoria probabilistica come la meccanica quantistica, perché per misurare delle probabilità bisogna ripetere un evento tante volte. Dall’altro, ripetere tante volte un evento si può fare sia in sequenza che in parallelo, ma alla meccanica quantistica la versione in sequenza è stata inaccessibile per lungo tempo. Per un motivo puramente tecnologico.
Fino a qualche decennio fa, non sapevamo come fare ad isolare e manipolare una singola particella. Ed è inevitabile che il fatto che col tempo siamo riusciti a farlo abbia esercitato una notevole influenza sulla nascita dell’informazione quantistica.
Particelle singole in che senso, scusa?
Cos’è che è cambiato di così importante da poterci permettere di isolare singole particelle?
Se dovessi nominarvi il principale, di cambiamento, vi direi il laser. L’avvento e l’utilizzo del laser come fonte di luce molto particolare, ha cambiato di molto in modo in cui possiamo esplorare il mondo microscopico.
Vi faccio un esempio.
Il laser, tra le sue proprietà, ha quella di avere una frequenza (un colore, in pratica) molto ben definita e poter raggiungere intensità molto alte. Paragonato alla luce di una lampada, illuminare un oggetto con un laser è tipo sparare fotoni con un cannone anziché tirarli con una fionda.
Questa maggiore intensità ci ha permesso di scoprire fenomeni che prima ci erano inaccessibili. Ad esempio, ora sappiamo che alcuni materiali rispondono alla luce con cui li illuminiamo in modi diversi, nel caso in cui questa luce sia molto intensa e focalizzata come quella di un laser. È un po’ come se, prendendo uno specchio, scoprissimo che oltre a riflettere la luce, può fare anche altro. Ma questo altro lo abbiamo scoperto solo usando i laser.
Uno dei fenomeni che è stato scoperto in questo modo è la conversione parametrica spontanea (meglio nota come “spontaneous parametric down conversion” in inglese, spesso abbreviata con la sigla SPDC). Immaginate di avere gli occhiali da vista le cui lenti sono fatte di un vetro in grado di dar luogo alla SPDC. Se li illuminaste con un laser abbastanza intenso, succederebbe la seguente cosa: la maggior parte della luce passerebbe attraverso le lenti senza problemi - dato che gli occhiali sono trasparenti, sennò non ci vedremmo nulla - ma in aggiunta, ogni tanto, dalle lenti partirebbe una coppia di singoli fotoni in direzioni diverse da quelle del fascio laser trasmesso.
La SDPC è il primo metodo che è stato scoperto per generare e osservare singoli fotoni in un laboratorio. Praticamente basta posizionare il proprio esperimento in modo da raccogliere luce solo da un angolo diverso da quello della direzione del laser trasmesso dalla lente. Così da garantire che l’unica fonte di luce che può arrivare sia solo il fotone della coppia che ogni tanto viene generata per via della SDPC.
In pratica se foste Superman potreste fare esperimenti di informazione quantistica a casa vostra. Basterebbe farsi fare degli occhiali con i materiali adatti.
Il laser ci permette di fare molte altre cose che riguardano la generazione di singole particelle. Ad esempio, combinare fasci laser in maniera ben congegnata permette di generare delle forze magnetiche che possono “intrappolare” un atomo in un certo punto. In questo modo, anche se quando scuotiamo un materiale ci portiamo via tanti atomi insieme, se nella loro traiettoria una di queste particelle incontra una di queste trappole, possiamo fare in modo che rimanga ferma lì. Questo ad esempio è il principio di funzionamento della cosiddetta trappola magneto-ottica.
Qual è stata la tempistica di questi sviluppi tecnologici? Considerate che, a grandi linee, i primi laser funzionanti arrivarono all’inizio degli anni Sessanta. Il primo esperimento di SPDC è del 1967 e da lì le cose sono andate a cascata. E pensate che i primi concetti di crittografia quantistica risalgono già agli inizi degli anni Settanta.
Coincidenze? Io non credo.
Gli esperimenti quantistici sbloccano una nuova abilità
Pensate se domani riceveste una telefonata e, al rispondere, sentiste tutte le parole della conversazione arrivare in contemporanea.
Prima cosa, immagino che chiedereste di ripetere, perché non credo che capireste granché. A meno che non siete davvero Superman, in qual caso mandatemi un email ché vi invito a casa mia per fare qualche esperimento di informazione quantistica con degli occhiali speciali.
Se la cosa si ripetesse, mi sa che vi converrebbe provare a capire se il vostro telefono si è rotto. O se è successo qualcosa di strano alla persona dall’altra parte della linea, che magari ha sviluppato i poteri speciali di dire tutte le parole in contemporanea.
Non proprio i poteri migliori del mondo, sarete d’accordo con me. Difficile fare una conversazione rilassata con un’abilità del genere. Figuriamoci farsi capire da qualcuno.
Ecco, gli esperimenti di meccanica quantistica prima degli anni Sessanta/Settanta si comportavano un po’ come il telefono (o la persona misteriosa) in questione. Potevano mandare particelle solo in blocco. Insomma, non il modo migliore di immaginare un modo alternativo di comunicare.
Per questo, secondo me, nel momento in cui il progresso tecnologico ha permesso di intravedere una nuova maniera manipolare le particelle, era naturale che venissero stimolate anche nuove idee su cosa farsene di queste nuove tecniche.
E questo vale in particolare per l’informazione quantistica, in cui l’idea centrale era proprio pensare di usare singole particelle per codificare informazione. Non dico che la scoperta di fenomeni come la SPDC hanno direttamente causato la formulazione delle prime idee di informazione quantistica. Anche perché, come in tutte le cose articolate che coinvolgono tante persone insieme, anche nella ricerca scientifica è difficile identificare singole cause.
Certo è che, senza una tecnologia di supporto dietro, le idee dell’informazione quantistica, per quanto stimolanti, avrebbero rischiato di rimanere solo idee. Se l’unico modo che avessimo avuto per analizzare particelle fosse misurarle tutte in parallelo, non so se saremmo arrivati ad avere i prototipi di computer quantistici che abbiamo ora.
Insomma, un pò in contemporanea alla nascita dell’informazione quantistica, la meccanica quantistica sbloccò una nuova abilità. Quella di manipolare e misurare particelle in sequenza, anziché tutte in parallelo. E questa, qualunque sia la misura in cui ha influenzato lo sviluppo dell’informazione quantistica stessa, di certo ha permesso quasi da subito di fare diventare certe idee una realtà concreta.
Altrimenti saremmo rimastə con un telefono quantistico guasto, che manda tutte le parole in contemporanea.
E con questa metafora da videogioco passo e chiudo per questo dodicesimo episodio della newsletter. Spero che l’episodio sia piaciuto e vi abbia stimolato una sana dose di curiosità. Commentate qui
o scrivetemi in privato se avete domande/commenti/qualunque cosa. Sono sempre felice di leggervi e rispondervi.
Nel frattempo, noi ci rileggiamo fra due settimane.
A presto!
Un disclaimer finale
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